sabato, novembre 25
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A un anno dalla sua scoprasa vi riproponiamo un bellissimo articolo tratto dal Corriere dello Sport del 26 Novembre 2005.
Buona lettura...

UNA VITA SPERICOLATA


Le folte e cespugliose basette, i lunghi capelli ondeggianti al vento, la maglia rossa del Manchester United, quella corsa veloce e lieve. Lieve come l'anima perchè, coma ha scritto un poeta "il calcio si gioca nell'anima". Era il quinto dei Beatles e forse il suo addio avrà la colonna sonora di The long and winnig road, l'ultima canzone, quella del divorzio. I ragazzi del Mondo nati negli anni cinquanta, sul confine tra due mondi, di là le distruzioni della guerra, di qua vicinissima la pirotecnica e rutilante società dei consumi, opulenta come l'ha definita Galbraith, lo hanno comunque amato, al pari di John Lenon, almeno quelli che hanno confuso calcio, musica e qualche ingenuo ideale di libertà.
Georgie era l'immagine di un calcio libero, della fantasia senza confini. Era un pugno in faccia al perbenismo, era il rock che rompeva i tradizionali confini della trita melodia delle sale da ballo, smoking e crinoline. Il suo pallone viaggiava sulle note di Starway to heaven o su quelle di You can't always get what you want. Era suggestione e provocazione.
Georgie ieri mattina è volato via: il suo ultimo dribling, il più lento e doloroso. Ma lui resterà per l'eternità in quelle foto ingiallite dal tempo, immerso in quella voglia di irridere e stupire, poeta maledetto così lontano da un calcio fatto di buoni sentimenti, di polistirolo espanso. E' stato una luce improvvisa, una di quelle stelle che cadono nella notte di San Lorenzo e di cui immaginiamo una buona fine. Raggiungerà Matt Busby e con lui ricorderà quel Manchester rinato da una tragedia, in con lui, Georgie, era un simbolo esplosivo di creatività. Lo ricorderemo con la Coppa dei Campioni o con quel Pallone d'Oro poi venduto all'asta per far soldi, gli stessi soldi sperperati senza rimpianti per fare una bella vita più che costruirsi una bella vita. All'ultimo secondo ha voluto lanciare un messaggio: "Non fate come me". Con l'alcool. Ma non è stato un pentimento, non è stata una abiura, ma un estremo atto di generosità. L'ultimo dopo una vita spesa tra alcove, belle donne e fumosi pub rivestiti in legno, impastati con gli odori del luppolo e del malto, adeguatamente distillato. Lui, come un altro grande genio della vita irregolare, Diego Armando Maradona, non ha mai preteso di essere un simbolo. Ma al pari di Diego Armando ci ha fatto divertire e ci ha affascinato, anche con i suoi vizi spudoratamente esibiti, con quelle sue debolezze tremendamente umane, in un ambiente di finti uomini costruiti a tavolino dagli esperti di immagini e dalle società di pubbliche relazioni. Lui era Georgie: tutto vero, tutto reale, con i suoi tanti matrimoni, la vita dissoluta e quel fegato inutilmente trapiantato con le sterline del servizio sanitario nazionale britannico.
Ha salito tutti i gradini della sua scala per il paradiso, come cantavano i Led Zeppelin, cominciando dolcemente e proseguendo con un ritmo sempre più incalzante. Era esattamente così il suo calcio, dolce e travolgente. Perchè un paradiso ci sarà anche per lui, impenitente donnaiolo con l'altissimo tasso alcoolico e con un irrefrenabile istinto per l'autodistruzione. Un paradiso c'è per tutti coloro che un segno in terra lo hanno lasciato: in maniera forse non ortodossa ma indelebile. La sua vita ha avuto i colori intesi di un quadro di van Gogh o Paul Gauguin. Ma nessuna vita è giudicabile a patto che non sia stata spesa per far del male agli altri. E lui il male alla fine lo ha fatto solo a se stesso, scontando la pena, pagando il conto, accettando il calice amarissimo di un agonia durata troppo.
Forse esagerava quando diceva che se non fosse stato così bello, di Pelè nessuno avrebbe parlato. La sua bellezza lo distreva dal calcio, conducendolo verso altri piaceri. Forse esagerava. O forse avevano ragione i suoi primi compagni di pallone che raccontavano come a volte durante una partita si fermassero a guardarlo tanto erano straordinarie le cose che riusciva a fare con i piedi. Georgie per i ragazzini nati negli anni cinquanta, cresciuti con al piede palloni improbabili, sventrati con l'impatto cruento con l'asfalto perchè di campi in terra battuta o in erba in giro ve n'erano pochini, ha rappresentato l'essenza del calcio, ha rappresentato la felicità del gioco, perchè allora era ancora gioco, non business, non show, solo inesauribile, inguaribile, straordinario gioco.
Fra qualche anno o qualche mese o qualche settimana Georgie ricadrà nell'oblio, quell'oblio che lo ha avvolto per molti anni prima di tornare alla ribalta per un arresto il giorno di Natale. Ma lo dimenticherà il calcio smemorato, fatto di sponsor e veline. Lui delle sue "conquiste" rideva: "Mi hanno attribuito sette Miss Mondo. Non è vero, ne ho portato a letto solo quattro, alle altre non mi sono concesso". Lui, comunque, ha vissuto. E dietro di sè lascia una striscia di nostalgia. Non saremo come lui è stato, ma lo abbiamo amato anche perchè così lui è stato.


 
posted by Senza Padroni at 9:44 AM |


1 Comments:


At 12/06/2006 2:00 PM, Anonymous Anonimo

his name is georgie best...georgie best...georgie best...his name is georgie best...geoorgie beeest..!!!