mercoledì, agosto 16
Il momento di ripartire

di Giannicola Rocca

Non è possibile svolgere alcun tipo efficace di analisi sugli ultimi avvenimenti che hanno coinvolto il mondo del calcio italiano se non si parte dalle trasformazioni che hanno investito il sistema calcio negli ultimi anni: trasformazioni che hanno avuto una portata di carattere storico, sociologico, culturale, politico e infine economico. La combinazione di questi fattori ha profondamente modificato lo scenario. E, purtroppo, non tutti gli attori del sistema hanno avuto la capacità e la voglia di adattarsi ai mutamenti in corso. Il calcio è stato trattato come un gioco, dimenticando, o peggio facendo finta d’ignorare, che esso genera annualmente un volume d’affari stimabile in almeno 5-6 miliardi di euro. Tale, cioè, da fare dello sport più amato dagli italiani una delle principali aziende del Paese.Quadro di riferimento - In principio, e fino all’inizio degli anni Ottanta, le società calcistiche furono costituite per consentire la pratica dei propri membri-associati. La forma costitutiva era quella degli enti associativi, con scopi ricreativi. In quanto tali, potevano rientrare nell’ambito delle associazioni mutualistiche. Le caratteristiche fondamentali delle associazioni sportive erano: struttura aperta con possibilità di mutamento dei componenti, organizzazione fissata dallo statuto sociale, patrimonio proprio distinto da quello degli associati. L’unica differenziazione fra le associazioni calcistiche e le altre associazioni sportive è che alle prime era richiesto un minimo di forma scritta, nello specifico lo statuto sociale che andava allegato alla domanda di affiliazione alla federazione sportiva. A tutt’oggi questa tipologia di organizzazione viene attuata dalla maggior parte delle società calcistiche dilettantistiche. Con il profondo evolversi della situazione socioeconomica le associazioni calcistiche si sono rivelate inadeguate alla gestione delle trasformazioni. Il solo contributo volontario degli associati non è stato più sufficiente alla copertura delle spese e pertanto le associazioni sono state costrette a rivolgersi al mercato per far fronte alle necessità. Si è quindi imposta, da parte delle autorità calcistiche, la necessità di dotare le società di nuovi impianti normativi che costituissero un quadro di riferimento adeguato.È in quest’ottica che il Consiglio federale della Figc emanò nel 1966 due distinti provvedimenti. Con il primo, del 16 settembre, intendeva sciogliere i consigli direttivi delle associazioni calcistiche professionistiche, con conseguente nomina di un commissario straordinario dotato di pieni poteri gestionali per ciascuna di esse. Con il secondo, del 16 dicembre, promulgò una forma di statuto-tipo obbligatorio per tutte le società calcistiche maggiori, i cui tratti salienti prevedevano l’impossibilità di ripartire gli utili fra i soci in caso di scioglimento, l’obbligo di devolvere le somme residue a un fondo di assistenza del Coni, l’obbligo di restituire ai soci il solo valore nominale delle azioni possedute. Contemporaneamente iniziava a farsi largo fra le autorità governative l’idea che le associazioni calcistiche dovessero darsi la forma delle società per azioni, sulla scorta di ciò che alcune società di calcio avevano già fatto di propria iniziativa senza attendere l’obbligatorietà delle norme: mi riferisco al Torino Calcio nel 1959, al Modena Football Club nel 1962 e al Napoli Calcio nel 1964. Nel periodo considerato, il cui termine può ragionevolmente essere posto nel 1981 con l’emanazione della Legge 23 marzo 1981 n. 91, tutto sommato le società riescono a essere gestite in una forma ludico-sportiva: la dimensione economica del settore è ancora limitata, gli interessi economici da tutelare sono poco rilevanti e l’organizzazione dei club è di fatto inesistente, prevalendo la forma del mecenatismo puro. È questa la stagione di una serie di presidenti mecenati che hanno fatto la storia del calcio e hanno riempito le cronache giornalistiche di quegli anni. La generazione cioè di Costantino Rozzi, di Romeo Anconetani, di Domenico Luzzara, dei fratelli Massimino va certamente inquadrata all’interno di quel contesto storico e culturale, quando il calcio era una passione pura e non uno strumento di business.Con l’introduzione della citata legge 91 del 1981 il legislatore ha cercato di porre rimedio a tutta una serie di problemi che nel frattempo si erano affacciati nel mondo del calcio. Infatti i principali contributi della legge sono stati: l’aver stabilito i criteri dello sport professionistico con la definizione della figura dello sportivo professionista, l’aver stabilito i requisiti essenziali per la costituzione, il controllo della gestione e la liquidazione delle società, l’aver determinato le caratteristiche e le competenze delle federazioni. Lo scopo dei club, da sportivo-ludico, si è trasformato in 'non lucrativo', gli utili vanno reinvestiti, la dimensione economica del settore è diventata progressivamente maggiore e nell’organizzazione dei club inizia a fare capolino un criterio economico di gestione orientata al risultato sportivo. Inoltre la legge ha emanato una serie di disposizioni di carattere tributario e ha istituito le norme che hanno abolito il "vincolo sportivo", ovvero quell’istituto che attribuiva alle società sportive il diritto di utilizzazione esclusiva delle prestazioni di un giocatore. Con tale abolizione le società hanno acquisito una notevole forza contrattuale nella gestione del contratto dei giocatori: con la conseguenza che il giocatore doveva quasi sempre accettare la destinazione decisa dal club di appartenenza.Tale situazione è rimasta di fatto immutata per circa quindici anni fino alla emanazione della legge 18 novembre 1996 n.586. Il 15 dicembre 1995, all’indomani della celebre 'sentenza Bosman', il quadro di riferimento fin qui delineato mutò in maniera repentina grazie alla battaglia giudiziaria del coraggioso giocatore Jean Marc Bosman, che citò per danni la sua società di appartenenza, il Liegi, e la Federazione calcistica belga colpevoli d’aver impedito con una serie di norme restrittive il trasferimento a un club francese con cui il giocatore aveva trovato accordo dopo la conclusione del suo contratto con il Liegi. Le conseguenze della lunga battaglia giudiziaria intrapresa da Bosman sono giunte anche in Italia. E il dibattito sportivo culturale e politico ha dato il la a una serie di modifiche sfociate nella legge 586 del 1996. Con quella legge s’è stabilito che le società potessero effettuare la distribuzione degli utili fra i loro azionisti, con l’esclusione del 10% degli utili da reinvestire nell’attività. A questo punto la dimensione economica del settore ha ormai raggiunto dimensioni ragguardevoli, i club hanno iniziato a sviluppare un orientamento al mercato e di conseguenza iniziano a dotarsi di una struttura complessa che consenta loro di conciliare lo sport con quell’orientamento al profitto che è tipico delle organizzazioni business oriented. Anche l’atto costitutivo delle società può prevedere nell’oggetto sociale lo 'svolgimento di attività connesse e/o strumentali all’attività sportiva tipica', con le quali si dà il via alla diversificazione delle diverse fonti di guadagno delle società. Ciò ha avuto conseguenze di due tipi. Le prime hanno implicato la necessità di cercare una remunerazione del capitale investito, individuando politiche aziendali volte a fronteggiare i costi nel breve periodo e a garantire la solidità economica, patrimoniale e finanziaria delle società nel medio-lungo periodo. Le seconde hanno imposto ai diversi club di dotarsi d’una struttura aziendale e manageriale adeguata: capace da un lato di valorizzare le diverse funzioni e aree d’impresa, e dall’altro di sfruttare tutte le possibili forme di ricavo legate all’attività tradizionale. In sostanza le trasformazioni hanno imposto alle società, e soprattutto ai loro dirigenti e azionisti, di compiere una necessaria riflessione circa gli assetti societari e di management. Il mercato ha richiesto l’utilizzo di strumenti e di tecniche di gestione aziendale sulla scorta delle aziende market oriented e profit oriented, fino ad allora scarsamente utilizzati nelle società calcistiche. Le società nelle quali la proprietà è stata in grado di ritornare al suo ruolo primario - che dovrebbe essere quello di indicare gli obiettivi e le mission, lasciando a manager competenti l’onere e l’onore di sviluppare le attività e le tecniche necessarie al raggiungimento degli obiettivi indicati dalla proprietà - sono riuscite a superare indenni le trasformazioni imposte. Di contro, le società nelle quali è stata prevalente la figura del presidente mecenate e accentratore sono state più difficilmente in grado di adeguarsi ai mutamenti. Talvolta hanno pagato prezzi molto alti, causati dall’irrazionale resistenza al cambiamento, proprio perché l’approccio al business è stato meramente soggettivo ed è stato lasciato pochissimo spazio a figure manageriali che sarebbero state utili, se non indispensabili, nel nuovo contesto socio economico di riferimento.I numeri del sistema - Per capire quanto profondamente sia mutato lo scenario è utile analizzare le variazioni del fatturato complessivo della serie A e della serie B. Nel 1991 il fatturato complessivo delle società di calcio in serie B era di poco superiore ai 100 milioni di euro. Dopo dieci anni lo stesso dato era raddoppiato, toccando la cifra di quasi 220 milioni di euro. In serie A il divario era ancora più marcato, poiché nel 1991 il fatturato era di circa 375 milioni di euro, mentre dopo dieci anni era più che triplicato, arrivando alla cifra di circa 1200 milioni di euro. Però mentre, nel 1991, la voce 'stipendi per giocatori e dipendenti' era in serie B di soli 63 milioni di euro, nel 2001 tale voce ammontava a circa 220 milioni (quindi le società spendevano per la sole voce stipendi una cifra pari al fatturato). In serie A le stesse voci davano una spesa di 153 milioni di euro nel 1991 e di 867 milioni di euro dopo dieci anni. Il sistema rivela tutti i suoi limiti se si pensa che gli altri costi operativi e il costo degli ammortamenti e delle svalutazioni a volte sono stati superiori alla voce di stipendi per i giocatori e il personale. In questo contesto le società hanno pensato che il solo ricorso a sponsorizzazioni e a meccanismi di cessione dei diritti televisivi garantisse la sopravvivenza, trascurando la diversificazione dei ricavi, evitando di comprimere i costi e di valorizzare i settori giovanili, andando all’inseguimento di giocatori rappresentativi, e costosi, che potessero garantire il raggiungimento immediato di risultati sportivi o di ricche sponsorizzazioni in grado di coprire i costi.I presidenti, i manager, i giocatori, i procuratori e i mediatori di ogni genere hanno iniziato un gioco al rialzo che ha prodotto effetti perversi sui conti delle società: che nel frattempo, non essendo capaci di efficaci programmazioni, hanno aumentato a dismisura il numero dei giocatori in organico a ogni singola squadra. Nel campionato 1977/78 la Juventus di Giovanni Trapattoni ha utilizzato solo 16 giocatori per vincere lo scudetto, e due di quei giocatori non sono stati quasi mai utilizzati. Nel 1987/88 il Milan di Arrigo Sacchi ne ha utilizzati 20, ma sette dei giocatori hanno totalizzato pochissime presenze, e pure quella squadra è ricordata e celebrata per la qualità del suo gioco. A distanza di dieci anni la Juve di Marcello Lippi, con una rosa di 24 giocatori, di cui in cinque non hanno totalizzato più di cinque presenze, è riuscita a vincere lo scudetto e a raggiungere la finale di Champions League. Nessuna azienda riesce a sopravvivere a lungo se il costo del lavoro assorbe quasi tutti i ricavi o, peggio, se da solo è superiore all’ammontare dei ricavi. Anche se questa affermazione è talmente banale da sembrare superflua, le recenti vicende che hanno squarciato il mondo del calcio impongono seria e approfondita riflessione.Le società e i controlli - Le società di calcio sono riuscite a far quadrare i propri bilanci grazie al meccanismo delle cessioni dei giocatori e delle plusvalenze derivanti dalla differenza fra il valore di acquisto e il valore di cessione. Questo meccanismo ha portato a una serie di scambi di giocatori con quotazioni assolutamente spropositate, e con molte operazioni realizzate in prossimità della chiusura del bilancio, che per le società di calcio è infrannuale al 30 giugno, con il solo scopo di pareggiare le perdite e consentire alle società di operare il maquillage sui conti che consentisse l’iscrizione al campionato successivo. L’effetto perverso del meccanismo è stato il peggioramento dei conti successivi: infatti un’elevata quotazione di un giocatore vuol dire un ammortamento adeguato al valore del giocatore, e quindi un peggioramento dei conti in un meccanismo senza fine. Il sistema ha retto fino a quando le società, in previsione di ricavi sempre maggiori per la cessione di diritti televisivi sempre più onerosi, sono riuscite a indebitarsi e a effettuare cessioni fittizie che consentissero un equilibrio apparente. Per fare ciò, con la colpevole complicità di quasi tutti gli attori del sistema, lo stato maggiore del calcio ha escogitato una serie di trucchi, quand’anche non sia stato ricercato il progressivo e consapevole indebolimento del sistema di controlli per consentire il perpetrarsi di uno scellerato sistema di gestione.Valga per tutti il caso della Covisoc. È l’acronimo della Commissione di Vigilanza sulle società calcistiche, che sulla carta dovrebbe avere un funzionamento e poteri simili a quelli che la Consob esercita sulle società quotate. La Covisoc è stata progressivamente svuotata di poteri e privata di strumenti importanti che avrebbero consentito un maggiore e più efficace controllo. Per fare un esempio, fino al 1996 la Covisoc aveva il compito d’intervenire nel merito dei comportamenti delle società calcistiche, per esempio autorizzando i prestiti, e da quella data questi poteri le sono stati revocati. Oggi alla Covisoc, in pratica, è rimasto il solo compito di sorvegliare la gestione economica e finanziaria delle società, al fine di garantire lo svolgimento dell’attività agonistica. Le società di calcio sono obbligate a consegnare i propri bilanci entro un mese dall’approvazione. Le assemblee per l’approvazione dei singoli bilanci possono essere convocate entro novanta giorni dalla chiusura dell’esercizio; quasi tutte le società sforano di ulteriori trenta giorni. Quindi i bilanci arrivano alla Commissione fra novembre e dicembre; una volta ricevuti, la Commissione non dispone di ulteriori strumenti d’indagine e deve quindi limitarsi ad accettare i bilanci acriticamente. Esisteva un tempo un apposito articolo del regolamento della Lega calcio - la Lega calcio può essere considerata come la Confindustria del mondo del calcio - che imponeva alle società l’obbligo di presentare un preventivo gestionale al momento dell’iscrizione. Ovviamente anche tale obbligo è stato cancellato.Le norme federali affermano che possono iscriversi ai vari campionati le società che incassano almeno il triplo di quello che devono alle banche e ad altri creditori. Ed è proprio la Covisoc che deve analizzare i parametri. Nel caso in cui una società non rientri nei parametri, dovrà effettuare nuove capitalizzazioni o trovare nuove risorse prima dell’inizio del prossimo campionato. Il numero delle società non in regola con questi parametri è andato progressivamente aumentando, e anche qui l’escamotage è stato quello di consentire alle squadre di deliberare aumenti di capitale sociale, che è cosa ben diversa dal dover sottoscrivere aumenti di capitale sociale. E a garanzia dei futuri aumenti di capitale, cioè degli impegni presi, è stato consentito alle squadre di presentare delle polizze fideiussorie. Ovviamente, per ammorbidire questo gravoso impegno non è stato imposto alle società di calcio l’obbligo di ricorrere a polizze emesse da banche o da società assicurative di primo piano, ma le si è lasciate libere di far ricorso a società emittenti sulla cui solvibilità sarebbe stato lecito porsi più di un dubbio. La conseguenze di tutto questo è che una squadra può tranquillamente iniziare una stagione senza rispettare i pochi vincoli rimasti.Un altro degli strumenti in mano alla Federazione consiste nel porre sotto tutela i club con bilanci non in ordine, la cosiddetta 'fascia B', che impone alle società che ne facciano parte l’obbligo di procedere alla vendita di qualche giocatore prima di effettuare acquisti. Ancora una volta la sfrenata fantasia dei presidenti e la colpevole complicità degli organi deputati al controllo hanno escogitato la soluzione ad hoc. Infatti accade che due presidenti si mettano d’accordo nel dar vita a uno scambio di giocatori che origini la plusvalenza necessaria e sufficiente a riportare la squadra nella fascia A, libera di poter concludere acquisti, cessioni e nuove plusvalenze. Quindi l’avvenuta, e speriamo non irreversibile, crisi di alcune società e più in generale dell’intero sistema del calcio professionistico ha certamente cause che sono da attribuire alla mala gestio dei singoli amministratori e alla culpa in vigilando dei singoli controllori, ma mi sento di dire che con un sistema diverso e con controlli più pervasivi la crisi avrebbe avuto una minore eco e la si sarebbe potuta comprendere fra le crisi di settore normali, fisiologiche. Perché in effetti, se si assimila il settore calcio agli altri settori merceologici ed economici, il fallimento di un’azienda non deve essere considerato una iattura, ma va visto come la risposta del mercato alle incapacità gestionali o all’inadeguatezza dei mezzi di singole aziende.Come ripartire - Il mondo del calcio, i suoi imprenditori, i suoi investitori, le città e le tifoserie coinvolte, le istituzioni, insomma tutti gli attori a qualsiasi titolo implicati, hanno la forza di ripartire e credo che ciascuno debba fare la sua parte senza sottrarsi all’impegno. L’obiettivo di chi vorrà e saprà farsi carico del compito di riportare serenità nel calcio professionistico dovrà essere non soltanto sportivo, ma anche e soprattutto culturale e manageriale. Sempre più difficilmente in futuro potranno raggiungere risultati sportivi d’eccellenza società che non abbiano un management capace e una compagine societaria adeguata. Chi ha gli strumenti e la volontà per riformare il sistema del calcio professionistico dovrebbe prendere come modello quelle società che sono riuscite a coniugare risultati di economicità gestionale, efficacia ed efficienza, con i risultati sportivi. In questo senso è prioritario che si orientino la creazione e l’accrescimento di valore delle società verso coloro che hanno direttamente a che fare con esse, che si trovano in un rapporto diretto e primario d’interesse (quelli che in gergo tecnico economico vengono definiti stakeholders). Esistono esempi di squadre che vi sono riuscite e oggi godono i frutti di una corretta programmazione. Queste esperienze insegnano che gli obiettivi di tutti gli operatori dovrebbero essere la valorizzazione del settore giovanile - che deve diventare un’attività sistematica e non episodica - , la realizzazione di accordi commerciali e di comarketing per allargare le business unit delle società, la ricerca di nuove opportunità reddituali. Fino a quando il conto economico delle società di calcio dipenderà in maniera esclusiva o prevalente dai ricavi della vendita di biglietti o di abbonamenti, e fino a quando le società per sopravvivere avranno bisogno dei ricavi da cessione dei diritti televisivi, non potrà esserci alcun futuro né il settore potrà pensare di offrire una qualche attrattiva a quegli imprenditori che si tengono lontani dal calcio. Per realizzare tutto ciò le società dovranno, da un lato, arricchire la propria cultura manageriale ricercandola anche all’esterno del mondo del calcio. Ma d’altro lato questi cambiamenti culturali dovranno essere accompagnati da una serie di riforme sostanziali delle norme e dei regolamenti che regolano il 'gioco del calcio' (già, può sembrare strano a questo punto, ma è ancora di un gioco che in fondo stiamo parlando). I controlli dovrebbero essere più stringenti: alle società va imposto l’obbligo della certificazione del bilancio, l’obbligo di nomina di revisori e amministratori indipendenti e anche l’obbligo di rispettare alcuni parametri di solidità patrimoniale e di redditività.Si potrebbe persino pensare di mettere in palio, ogni anno, la partecipazione alle varie competizioni europee non solo sulla base dei risultati sportivi ma anche sulla base dei risultati economico-gestionali. Penso per esempio alla possibilità di iscrivere una squadra all’Intertoto o alla Coppa Uefa anche sulla base del miglior Roa, cioè quell’indice che misura la capacità reddituale dell’attività tipica, o sulla base del miglior Roe, cioè quell’indice che, misurando la redditività dei mezzi propri, esprime il ritorno dei capitali propri investiti nell’azienda. Questi strumenti potrebbero realmente rappresentare segnali positivi. Potrebbero non soltanto riportare nel mondo del calcio la serenità perduta, ma essere il prodromo a investimenti da parte di investitori anche istituzionali e/o specializzati che dispongono di risorse e competenze. Diversamente il calcio diverrà, purtroppo, sempre più materia da aule di tribunali e da uffici delle procure. Chi scrive, invece, preferisce ricordare l’epoca in cui i terzini portavano il 2 e il 3 scritti sulla maglia e Gigi Riva segnava a raffica e tutti lo chiamavano 'Rombo di tuono'.
 
posted by Senza Padroni at 1:28 PM | 1 comments
martedì, agosto 1
Pensieri Leggeri

E ancora una volta ci ritroviamo a parlare di questioni riguardante un cazzo di comportamento...Niente di particolare, solo un completo raggiungimento dell'alto io...Rifiuti che hanno fatto parte del passato, quel passato ormai così vicino, e aspettato con il bisogno di rispettarlo, con il bisogno di non tradire, ora che nulla è in gioco...Nessuno può comprendere, tutti danno la loro versione, tutti capaci a impartire lezioni, tutti colpevoli di non farsi i cazzi propri...Il mattino è vicino anche oggi, il tempo passa davanti a delle lettere che hanno contribuito nella loro fottuta globalizzazzione, a creare quel senso di debolezza che non corrisponde alla situazione...La sera è sempre alla porta, le stelle guardano e ridono della mente bloccato dell'uomo debole...La luna ammira l'allegria della proprie figlie e non smette mai di splendere sopra la testa di nettuno che con calma mi aiuta per il mattino...La mente non è lucida e non riesce a semplificare, tutto è strano, quelle squallide lettere fanno domande assurde, le risposte sono scontate ma la conoscenza non è per tutti...Pronta a giocare e pronta a cadere, il rialzo sarà facile ma non si deve cadere, bisogna essere forti perchè la vita non ha un perchè e con questo tutto resta nell'infinito, tutto cerca collocazione nell'assurdo, tutto è fuori dalla tua portata, le liete note rammentano, la mente si rialza e inizia a scrivere parole concrete e veriterie...la mano non vuole dare spiegazioni, gli occhi vogliono la notte, la mente vuole quelle brutte lettere per capire, per sperare, per rialzarsi...la nota accompagna questi momenti, la musica è sempre amica, sempre presente come chi non smette di combattere, come chi va avanti con la speranza di farcela, con la speranza di portar alto l'idea dominante, l'idea nuova...Il mondo è questo, il mondo che circonda l'uomo confuso, come una canzone accolta in sala dalla soave musica, come il sole il mattino, come la luna la notte, come le figlie che sorridono...
 
posted by Senza Padroni at 12:43 PM | 4 comments