martedì, gennaio 23
Le irreprensibili forze dell'ordine

Rapina e furti a Modena: coinvolti tre poliziotti
Indagati due agenti, arrestato un altro in servizio a Napoli

(ANSA) - MODENA, 20 GEN - Tre agenti di polizia sono coinvolti in un'indagine condotta dalla Questura, in una rapina e in alcuni furti messi a segno a Modena.Secondo quanto trapela da fonti investigative di Modena, l'inchiesta avrebbe preso il via dopo una rapina in una gioielleria e alcuni furti compiuti all' inizio del 2006. Secondo quanto si e' appreso, un agente in servizio a Napoli e' stato arrestato e due colleghi di Modena sono indagati.


Quindici ex agenti rinviati a giudizio
Sono accusati di associazione per delinquere, peculato, falso in atto pubblico, perquisizioni illegittime, furti, lesioni e spaccio di droga

Il gup Luigi Varanelli ha rinviato a giudizio 20 persone, tra cui una quindicina di ex agenti del servizio Volanti e del servizio Scorte della Questura di Milano, accusate a vario titolo di associazione per delinquere, peculato, falso in atto pubblico, perquisizioni illegittime, furti, lesioni e spaccio di stupefacenti. Il processo a loro carico inizierà l'8 maggio davanti alla decima sezione penale del Tribunale. Il giudice ha accolto due patteggiamenti, fino a un massimo di 3 anni e 6 mesi, per due persone accusate di spaccio di droga. Molti gli episodi contestati ai poliziotti a partire da febbraio 2002 fino al gennaio dell'anno scorso, quando otto di loro furono arrestati su richiesta del pm della Dda Lucilla Tontodonati. In particolare, nel corso di perquisizioni illegittime, secondo gli inquirenti, gli agenti si sarebbero appropriati di merce sequestrata, poi non denunciata nei verbali: borse, pantaloni, cinture, dvd e altro materiale contraffatto. Sempre secondo l'accusa, alcuni agenti, grazie alle soffiate di spacciatori, operavano sequestri di droga che non venivano messi a verbale. Parte degli stupefacenti veniva poi trattenuta oppure rivenduta agli stessi spacciatori che avevano dato le indicazioni per sequestrarla. Il tutto, per l'accusa, con un sistema di coperture reciproche e turni in modo che gli agenti potessero agire in tutta tranquillità, sicuri che le persone offese (24 quelle che si sono costituite, tutte straniere) non avrebbero mai sporto denuncia. L'8 marzo altri tre agenti e un ex poliziotto saranno giudicati col rito abbreviato davanti al gup Varanelli.


Processo G8: blitz alla Diaz, scompare la prova contro gli agenti

La voce d'italiaGenova, 18 gen. - Le due molotov del G8 sono sparite. Le due bttiglie incendiarie rappresentano una delle prove a carico più pesanti nel processo contro i 29 poliziotti, imputati della irruzione nella scuola Diaz e di aver falsificato gli indizi per incastrare 93 ragazzi. Scomparse, svanite nel nulla. Ieri mattina, nel corso di un´udienza del processo, lo si e’ scoperto. Il presidente Gabrio Barone ha dato incarico alla procura di rintracciarle e i magistrati oggi chiederanno ufficialmente spiegazioni al questore Salvatore Presenti.
Le prove possono essere svanite in molti modi e altrettanti uffici: all´ufficio corpi di reato di palazzo di giustizia il responsabile ha allargato sconsolato le braccia; alla questura, spiega il vicedirigente della mobile Francesco Borré, "io sono arrivato alla squadra mobile nel 2002, un anno dopo il G8. Non abbiamo mai trattato quel reperto. Ma esiste un registro di carico e scarico. Ritengo che teoricamente dovrebbero essere agli atti della Digos". Inizia lo scaricabarile.
Le due bottiglie molotov addebitate ai 93 ragazzi arrestati durante l’irruzione alla scuola Diaz, dovevano essere la “prova regina”, la conferma della pericolosità di quegli studenti finiti in manette. Divennero invece il centro dell’inchiesta sui poliziotti coinvolti in quella sanguinosa perquisizione, perche’ la “prova regina” era falsa. Fabbricata ad arte per incastrare i 93 no global e giustificare così il violentissimo pestaggio a freddo.
I pubblici ministeri e i legali delle parti offese pero’ al momento non perdono la pazienza: "Forse uno dei tanti pasticci della pubblica amministrazione, le molotov salteranno fuori nei prossimi giorni e comunque su quelle bottiglie, filmate e fotografate da ogni angolazione, sono stati fatti tutti gli accertamenti previsti". Gli avvocati difensori pero’ non perdono l’occasione: "Le fotografie non possono sostituire l´oggetto. Senza corpo del reato il processo è finito". "Le fotografie di un oggetto - ha commentato l´avvocato Alfredo Biondi, difensore del vicequestore Pietro Troiani - non possono sostituire l´oggetto corpo del reato, che deve essere materialmente riconosciuto".
Nella storia di quest’inchiesta non è la prima volta che accedono misteriose sparizioni, poco prima del rinvio a giudizio dei poliziotti, accadde una cosa simile. Erano scomparsi i tabulati telefonici ottenuti dalla Wind. La questura di Genova sosteneva di averli inviati in procura. Alla fine, vennero ritrovati negli uffici della Squadra mobile. Inuria quindi, pressapochismo. Di certo pero’ salta all’occhio la scarsa volonta’ a collaborare delle forze dell’ordine quando sono chiamate a indagare su se stesse.
Non riconoscono i compagni. Nelle ultime udienze infatti, è stata certificata l’impossibilità di identificare un poliziotto dalla fluente coda di cavallo fotografato in primo piano durante l’irruzione. Parla con altri agenti, dà ordini, ma nessuno l’ha riconosciuto. Stesso discorso per i firmatari del falsissimo verbale di arresto dei 93 no global ha saputo indicare di chi è la quindicesima firma posta sul documento.

da EQV
 
posted by Senza Padroni at 12:58 PM | 3 comments
martedì, gennaio 16
Grazie ad un amico (grazie davvero) riscopro quest'articolo che fa parte della nostra vita, e quando dico nostra intendo di tutti quelli che all'epoca c'erano e hanno scritto la storia!
A rileggerlo mi vien quasi voglia di tornare indietro nel tempo, di tornare indietro a quei tempi ma visto che non si può, mi accontento di rileggere, chiudere gli occhi e pensare!!!
Buona lettura e non emozionatevi troppo!!!
Salut!


Per amore di un'idea

Attendi per una vita certi momenti, così fortemente che carichi di aspettative indicibili montano nell'attesa. Poi arriva il giorno fatidico e ti accorgi che nulla era come l'avevi
immaginato.
La vittoria è per i deboli, per coloro che non sanno amare se non nella buona sorte. Con la C2 tutti pronti a salire sullo strafottutissimo carro dei vincitori, tutti ad autoproclamarsi grandi tifosi poi a Manduria ci si ritrova in 55, il solito pullman di
Ultras che ha seguito la squadra ovunque, dalla disfatta di Cassino all'esaltante giornata di Isola Liri, dalla trasferta al mitico "Flaminio" a quelle nei campi desolati di Montemarcone e Guidonia.
La vittoria è un narcotico per dimenticare la realtà, per appropriarsi dei meriti altrui,
declassando gli Ultras a semplici comparse, la Curva come una riserva di selvaggi ancorati a
riti tribali, danze e canti ancestrali messi in atto per il piacere del pubblico pantofolaio, quello che paga per sedersi comodo a godersi lo spettacolo in toto senza mai prendervi parte attivamente.
Eppure gli Ultras sono la parte migliore all'interno di uno stadio, sono quel tipo di tifosi su cui una società dovrebbe modellare il proprio pubblico: se tutti quanti si facessero contagiare dall'alta fedeltà Ultras ci sarebbero più di 1000 presenze non solo nei momenti buoni, quando c'è da far festa come a Bojano ma anche nei momenti più difficili, quando la squadra arranca e avrebbe vitale bisogno della forza aggiunta del dodicesimo uomo in campo.
Ultras è tradizione, coerenza ad ogni costo, amore spassionato oltre ogni categoria, oltre ogni risultato, oltre tutto...
Gli Ultras ci sono e ci saranno sempre. Nel mezzo comparse, quelli che si sentono in diritto di criticare anche ciò di cui nemmeno hanno idea, quelli che con disinvoltura si ergono al di sopra di chiunque.
Ultras è essere ovunque e comunque, non una moda da seguire solo quando conviene. Gli Ultras
hanno una deontologia e dei codici da osservare. Ultras è rispetto per chiunque vive dei tuoi stessi ideali al di la di banali suddivisioni per rivalità o politica. Ultras non è mai violenza o offesa gratuita, Ultras è mentalità ad ogni costo, è presentarsi anche in 5 nelle trasferte più lontane o insidiose, è amare la propria maglia in quanto simbolo della propria città, della propria terra, delle proprie radici e non perchè la indossi un campione plurititolato o un brocco qualunque. Ultras è rifiutare qualsiasi aiuto o compromesso con dirigenza, stampa o altra entità estranea ai dettami del proprio mondo.
Troppo facile riscoprirsi tifosi solo quando si vince, cantare solo quando si segna o quando
entrano le squadre in campo per poi sedersi e rimanere in silenzio per tutto il resto della gara. Troppo facile andare in trasferta gratis o solo nelle tappe più significative, troppo facile credersi "qualcuno" solo per una sciarpa al collo, uno striscione da appendere in casa si e fuori no o per un'idea astrusa appresa sui giornaletti o copiata in malo modo da realtà completamente estranee alla propria. Ultras è non avere altra politica se non quella della difesa e della preservazione del proprio stile di vita, Ultras non è idolatrare i giocatori o i singoli perchè alla fin fine il calcio è pur sempre "collettico" e quello che succede è sempre colpa o merito di tutti. Ultras non è uno strisicone di 100 mt o una sciarpettina figa da merchandising, non è una coreografia o un coro estemporaneo, Ultras è un grido di libertà che si leva incessante al cielo, Ultras non è apparire ma è "essere", Ultras non si diventa ma si nasce.
Nè PER MODA, Nè PER LUCRO
ULTRAS PER AMORE DI UN'IDEA

da "Il Forbicione" fanzine delle Teste Matte Manfredonia
anno VIII n°11
 
posted by Senza Padroni at 7:57 PM | 8 comments
lunedì, gennaio 15
Intervista al cittadino britannico Moazzan Begg, rilasciato dopo tre anni. «Torturato così a Guantanamo e Bagram»
...nei lager Usa di Kandahar, Bagram e Guantanamo, ricorda le torture, gli stupri, le umiliazioni e le profanazioni del Corano






Ogni giorno, a Guantanamo, un detenuto viene sessualmente violentato, torturato ed interrogato anche per 20 ore consecutive. La tortura sia fisica, sia psicologica è sistematica e di routine. Gli scherni contro la religione, il disprezzo e gli insulti contro i detenuti arabi e musulmani è una costante sia a Guantanamo, sia a Bagram, in Afghanistan, Non mi piace affatto parlare del mio passato. Cerco soltanto di dimenticare. Ma penso a coloro che sono ancora in quei lager». Queste le prime parole di Moazzan Begg - da noi raggiunto telefonicamente a Birminghan - rilasciato da Guantanamo dopo oltre tre anni di «barbarie animalesca» nei centri di detenzione di Kandahar, Bargram, Guantanamo. Tre anni fa proprietario di una libreria a Birmingham, oggi un rottame umano.

* * *

Può raccontarci l’inizio della sua discesa verso gli inferi della detenzione nelle carceri americane?

Il 21 gennaio del 2002, a Islamabad, in piena notte, militari della polizia segreta pakistana ed agenti americani hanno fatto irruzione nella casa dove abitavo. Mi hanno puntato una pistola al capo, sono stato incappucciato, ammanettato, incatenato mani e piedi, caricato su un veicolo e portato via... Sul camion che mi portava via, gli americani mi hanno strappato di dosso gli indumenti.

Gli agenti americani le hanno spiegato le ragioni del sequestro?

Uno degli agenti segreti in borghese mi ha mostrato un paio di manette dicendo che ero un terrorista e che la vedova di una vittima dell’attacco dell’11 settembre aveva dato loro l’incarico di dare la caccia a coloro che avevano effettuato l’attacco terroristico. Quando chiesi di vedere un rappresentante del consolato britannico, mi risposero «Lei è stato sequestrato ed imprigionato illegalmente. Nessuno sa dove lei sia. Quindi non può chiedere alcunché né effettuare alcun ricorso per ottenere giustizia.

Dove venne portato dagli agenti americani?

Incatenato mani e piedi, con un pesante cappuccio che mi impediva di vedere e respirare venni tradotto a Kandahar dove rimasi per circa due mesi.

E poi?

Nell’inferno di Bagram, dall’aprile del 2002 sino al febbraio del 2003 e infine in quello di Guantanamo sino al gennaio del 2005..

Ci descrive le condizioni del lager di Kandahar?

Qui, gli americani ci strappavano tutti gli indumenti da dosso utilizzando un coltello. Durante gli interrogatori che duravano anche 20 ore consecutive, di giorno e di notte. Le forme di tortura erano molteplici e sistematiche. Ci picchiavano ed eravamo presi a pugni in ogni parte del corpo fra grida, ed insulti. Una volta denudati ci davano calci, ci facevano stare in posizione fetale con le mani legate alle gambe. Per giorni senza cibo e trattati come animali. Oltre alla privazione del sonno, anche per 36-72 ore, durante gli interrogatori i comandanti del carcere, uomini e donne, ricorrevano ad ogni tipo di violenza sessuale. Siamo stati sodomizzati con dei pezzi di legno. Ci soffocavano stringendo il cappuccio che avevamo in testa. Gli americani si divertivano a fotografarci. Ci riprendevano, nudi, incappucciati. Uno ammassato all’altro. A volte, durante gli interrogatori ci legavano mani e piedi con una corda e ci appendevano per le mani legate ad una barra al soffitto. Rimanevamo appesi in aria, per giorni sino al collasso.

Durante gli interrogatori venivate insultati perché islamici, il corano profanato?

L’insulto e la dissacrazione religiosa erano routine sia a Kandahar, Bagram (Afghanistan) sia a Guantanamo. Quando arrivava un nuovo detenuto, durante la fase del «processing», venivamo denudati, rasati. Una volta tagliata la barba, ad alta voce, urlavano: «Questo è l’insulto peggiore che possiamo fare a questi animali». Nelle toilette dappertutto c’erano scritte ai muri: «Fuck Islam». A Guantanamo, un soldato ha fatto a pezzi le pagine del Corano e poi le ha gettate in un secchio che serviva da toilette.

Lei ha mai chiesto, conoscendo bene l’inglese, perché venivate torturati?

Rispondevano che eravamo terroristi. Non avevamo alcun diritto. Nella prima fase del «processing» si viene isolati in gabbie con il divieto di comunicare l’un con l’altro, in un’area, chiamata «the bond». Un hangar di metallo che era suddiviso in due parti. In ciascuna c’erano sei celle circondate da triplice filo spinato. In questa gabbia sono stato due mesi in totale isolamento. E’ una tecnica di tortura psicologica: avevo il senso di essere totalmente perduto.

Quando viene trasferito a Bagram?

Il 14 aprile 2002. Sono stato lì fino al 17 febbraio 2003. Le regole erano rigidissime. Non avevamo il permesso di avvicinarci agli altri né di parlare. Durante la notte veniva urlato il numero del detenuto che veniva trascinato dalla gabbia alla stanza di interrogatorio. La tortura era sistematica.

In una lettera a suo padre lei sosteneva di essere stato testimone della morte di due detenuti causata dalle torture a Bagram...

Sì, sono stato testimone della loro uccisione. Il primo era nella mia cella, l’altro l’ho visto trascinato dai soldati americani verso l’infermeria. Il primo fra giugno e luglio del 2002, il secondo nel dicembre di quello stesso anno.

Cosa vide dalla cella?

Il detenuto veniva picchiato, soprattutto alle gambe. Era di fronte alla mia cella. Nella zona chiamata «Air lock». Era lì con mani e piedi legati ed appeso sopra la porta della sua cella. E’ rimasto così per tre giorni consecutivi. Urlava e gridava di aiutarlo. I soldati invece di slegarlo continuarono a picchiarlo all’altezza delle costole. Quando poi l’hanno trascinato ormai morto alla «isolation unit», era ormai morto. La conferma di ciò l’ho ottenuta un anno e mezzo dopo a Guantanamo.

Come?

Ricordavo il numero del detenuto 419. Aveva una lunga barba, era afghano, parlava pashtun. Due giorni dopo il mio arrivo a Guantanamo (febbraio 2003), gli stessi agenti di Bagram si presentarono di notte a Guantanamo. Chiesero al secondino di uscire e mi mostrarono le foto dei due detenuti morti per tortura e le foto dei soldati responsabili. Ma credo siano ancora al loro posto di lavoro impuniti.

Ci racconti le condizioni di detenzione a Guantanamo.

Ogni singolo giorno venivo torturato, fisicamente violentato. Durante gli interrogatori venivano usati gli stessi metodi impiegati a Bagram. Interrogato da agenti dell’Fbi, della Cia, del servizio segreto del Pentagono. Mi legavano mani e piedi e sistematicamente venivo picchiato e preso a calci in ogni parte del corpo. Poi mi minacciarono di spedirmi in Egitto per essere torturato con gli elettrodi ai genitali.

Ci descrive le sue condizioni in cella di isolamento?

La cella di isolamento è una piccolissima cella all’interno della quale è costruita una gabbia ancora più piccola delle dimensioni di 1,52 per un metro e ottanta. Un secondino è davanti alla cella per 24 ore. L’illuminazione artificiale: con una lampadina. Non sapevo mai se fosse notte o giorno. Non potevo comunicare con nessuno. Lì sono rimasto rinchiuso più di due anni. Mi venivano concessi, inizialmente 15 minuti d’aria. Uno spazio chiuso, senza luce, circondato da una gabbia. E’ una condizione peggiore di un animale. In seguito il tempo di ricreazione venne esteso a 30 minuti due volte a settimana con la possibilità di una doccia. Passavo molto del tempo a pregare, memorizzavo il corano. Scrivevo poesie. Poi ho avuto dei seri problemi psicologici.

A Guantanamo c’era il generale il generale Jeffrey Miller?

Gli stessi agenti Cia di Bagram volevano farmi firmare una falsa confessione e il generale Jeffrey Miller era presente. Mi presentarono un testo da firmare in base al quale nel 1993 e nel 1998 avevo fornito soldi che sono serviti per l’addestramento degli autori dell’attacco dell’11 settembre. Se mi fossi rifiutato di firmare non sarei mai più uscito da quella cella di isolamento. E nessuno avrebbe mai saputo della mia morte. Erano agenti Cia, dell’Fbi e della Criminal Investigation Task Force istituita a Guantanamo. Firmai un falso. Tutti sapevano che i detenuti venivano obbligati a sottoscrivere dichiarazione false.

- da il manifesto - 05 Giugno 2005


 
posted by Senza Padroni at 1:30 AM | 3 comments
lunedì, gennaio 8
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Da "L'urlo della Gradinata Sud" degli Allentati Fasano stagione 2006/2007 numero 11

GLI ANNI PASSANO MA LA FEDE RESTA... ORA E SEMPRE ALLENTATI FASANO

Dopo la lunga sosta natalizia, si ricomincia con un bel più sette sulle dirette concorrenti e con la speranza che a primavera la squadra di mister Sgobba, noi della Curva Sud e tutta la città, possiamo festeggiare il tanto agognato ritorno in serie D. Il 2007 si apre quindi con la rinnovata voglia di vincere, di riuscire a raccogliere tutto quello che di buono è stato appena seminato nell'anno appena passato. Come al solito, ad ogni inizio anno è tempo di fare dei bilanci. Considerando l'aspetto puramente sportivo il 2006 è stato costernato da una serie di emozioni difficili da dimenticare. Siamo passati dalla gioia al dolore in una sola ed unica sfida (o meglio farsa, quella di Acicatena), tra la paura per la possibile fine del calcio nella nostra città, fino ad arrivare all'esaltante inizio del campionato attuale che ha posto le basi, per la conquista della vittoria finale. Al contempo dal punto di vista Ultras, il 2006 ha confermato il nostro amore per i colori della nostra città. Ovunque presenti, non importa se in pochi o in massa, se in partite senza stimoli o già scritte a tavolino... sempre al fianco dei colori biancazzurri, sempre pronti nelle lotte che giorno dopo giorno diventano sempre più difficili. Sempre fedeli alla linea, sempre in prima linea per combattere il business, la repressione e il razzismo che hanno ridotto il gioco del calcio in un industria , un calcio sempre più costernato da interessi, che hanno svilito la passione della gente per quella sfera di cuoio che rotola tra 22 atleti. E dal 2007 cosa aspettarci? Soprattutto, finalmente la vittoria di un campionato, poi anche l'essesima conferma della nostra mentalità, anche perchè quest'anno è molto importante, perchè ci avvicina sempre di più all'aprile 2008, data del nostro ventennale. Il conto alla rovescia è già partito e l'emozione è già tanta... Il traguardo dei 20 anni non è facile da raggiungere soprattutto se vissuti tutti per intero, in qualunque categoria, in qualunque situazione, tra tantissime delusioni e poche gioie. 20 anni di lotte, 20 anni di ALLENTATI FASANO. Intanto il presente di chiama Novoli, una partita facile sulla carta ma che allo stesso tempo nasconde grosse insidie. Per questo dopo il riposo natalizio è il momento di riprendere la lotta... NOI ABBIAMO UNA GRAN FAME DI VITTORIE DIMOSTRIAMOLO... Per questo, oggi tanta voce, tanto colore e una super torciata per trasformare la Sud in una bolgia dantesca. Molti si chiederanno perchè proprio oggi una coreografia, perchè per noi Allentati l'importanza della partita non ha mai fatto tanta differenza. Non importa se oggi non è una sfida al vertice o un derby sentito, noi siamo ultras sempre, non solo in certe occasioni...
Per concludere, oggi in curva saranno presenti con noi i ragazzi di Manfredonia. Nonostante lo scioglimento del loro storico gruppo e la conseguente fine del gemellaggio, l'amicizia con la sud di Manfredonia resta più viva che mai. Perchè la mentalità non conosce difficoltà, e soprattutto non conosce categorie.
ULTRAS UNICO BALUARDO DI UN CALCIO CHE NON C'E' PIU'.

 
posted by Senza Padroni at 7:21 PM | 16 comments
sabato, gennaio 6
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Milan, club ricattato: 10 indagati
Gruppo ultrà ferì un tifoso milanista

Sono una decina gli ultrà del Milan indagati in seguito alla sparatoria del 17 ottobre a Sesto San Giovanni nella quale un tifoso è rimasto ferito ad una gamba da un gruppo di facinorosi. L'inchiesta ha permesso di delineare uno scenario di pressioni nei confronti del Milan consistenti in minacce di disordini durante le gare per ottenere dalla società accrediti e vantaggi economici legati a biglietti, gadget e striscioni.

Una situazione che ha permesso di scoprire ben altro. Una lotta per il potere o per mettere le mani su un giro di interessi economici non indifferente. Tutto questo è emerso dall'indagine che i pm di Monza, Antonio Pizzi e Salvatore Bellomo stanno portando avanti dal 17 ottobre scorso quando il ferimento di un tifoso, a quanto pare appartenente a uno dei "vecchi gruppi" della curva sud, ha permesso di delineare uno scenario fatto di pressioni e minacce alla società rossonera per avere favoreggiamenti per quanto riguarda accrediti allo stadio e condizioni vantaggiose per striscioni o gadget. E non solo, a quanto pare l'obiettivo principale era quello di raggiungere posizioni di potere sulle tifoserie storiche.

"Non mi risulta che la sparatoria sia avvenuta per interessi economici, ma sarà la giustizia a chiarire cosa è successo", ha detto Giancarlo Capelli detto "Barone", capo storico della curva sud dove si trovano i gruppi di tifosi al centro dell'inchiesta. Ed ancora ha chiarito la situazione che si vive in curva: "Ci sono rapporti normali in curva - ha proseguito - esporremo uno striscione per far capire la nostra mentalità e la nostra posizione comune. Poi è chiaro che non è facile gestire 10mila persone con teste differenti e qualche volta può esserci qualche problema".

La grande rivoluzione della curva sud risale alla fine del 2005 quando si sciolse uno dei gruppi storici come la Fossa dei Leoni e, al suo posto, è subentrato un nuovo gruppo, chiamato "Guerrieri ultras": "E' stato accettato, come è giusto che sia, e ne fanno parte anche dei ragazzi che erano nella Fossa - ha detto ancora Capelli - Non siamo stati noi a sciogliere la Fossa, si è sciolta da sola. Politica? Siamo apolitici, abbiamo dimostrato di non esser mai stati legati a un simbolo".

Tuttavia Capelli non nega che ci siano anche interessi economici nella gestione della curva: "Abbiamo dei biglietti che compriamo, paghiamo e rivendiamo, ma sia chiaro: noi ci autotassiamo. Facciamo pagare i biglietti 2-3 euro in più, e questo succede come in ogni punto di rivendita, anche per andare a teatro. Se questo è un business, allora chiamiamolo così, ma non si tratta certo di milioni di euro come si vuol fare credere''. Infine, la posizione nei confronti della società: "Se contestiamo, si dice che lo facciamo per ottenere dei vantaggi". Infine ha concluso: "Quando non si contesta, è perché siamo vicini alla società e abbiamo già dei vantaggi. Diteci voi allora come ci dobbiamo comportare".

da tgcom

 
posted by Senza Padroni at 2:27 PM | 6 comments
mercoledì, gennaio 3
Dostoevskij, La teoria di Kirillov


F. M. Dostoevskij, I demoni



Il signor Kirillov, un ingegnere costruttore dei piú insigni.

[...]

Era un uomo ancora giovane sui ventisette anni, vestito decentemente.

[...]

mentre io cerco solo le cause, per cui gli uomini non osano uccidersi; ed ecco tutto. Ed anche questo è indifferente.”

“Come non osano? Vi sono, forse, pochi suicidi?”

“Pochissimi.”

“Possibile che lo troviate?”

Non rispose, si alzò e si mise a camminare su e giú pensoso.

“Che cosa, dunque, trattiene gli uomini, secondo voi, dal suicidio?” domandai.

Mi guardò distrattamente, come se cercasse di ricordare di che cosa si parlasse.

“Io... io lo so ancora poco... due pregiudizi li trattengono, due cose; due soltanto; una molto piccola, l’altra molto grande. Ma anche la piccola è molto grande.”

“Qual è, dunque, quella piccola?”

“Il dolore.”

“Il dolore? Possibile che sia cosí importante... in questo caso?”

“È la primissima cosa. Vi sono due categorie: quelli che si uccidono o per una gran tristezza, o per la rabbia, o sono pazzi, o che so io... quelli si uccidono di colpo. Quelli pensano poco al dolore, ma si uccidono di colpo. Mentre quelli che lo fanno a mente lucida, quelli pensano molto.”

“Vi sono, forse, di quelli che lo fanno a mente lucida?”

“Moltissimi. Se non ci fosse il pregiudizio, sarebbero di piú; moltissimi; tutti.”

“Ora anche tutti?”

Non rispose.

“Ma non vi sono, forse, dei mezzi di morire senza dolore?”

“Immaginate,” si fermò davanti a me, “immaginate un masso d’una grandezza, come una gran casa; vi prende sul capo; se vi cade addosso, sulla testa, vi farà male?”

“Un masso come una casa? Certo, fa paura.”

“Non parlo della paura; vi farà male?”

“Un masso come una montagna, un milione di pud? Si intende, nessun male.”

“Ma mettetevi davvero sotto, e mentre pende, avrete molta paura che vi faccia male. Ogni primo scienziato, ogni primo dottore, tutti, tutti avrebbero molta paura. Ognuno saprebbe che non fa male, ed ognuno avrebbe paura che faccia male.”

“Bene, e l’altra causa, quella grande?”

“L’altro mondo!”

“Cioè, il castigo?”

“Questo è indifferente. L’altro mondo; solo l’altro mondo.”

“Non vi sono forse degli atei che non credono affatto nell’altro mondo?”

Di nuovo non rispose.

“Giudicate forse secondo voi stesso?”

“Ognuno non può giudicare che secondo se stesso,” disse arrossendo. “La piena libertà ci sarà allora, quando sarà indifferente vivere o non vivere. Ecco lo scopo di tutto.”

“Lo scopo? Ma allora nessuno, forse, vorrà piú vivere?”

“Nessuno,” disse risolutamente.

“L’uomo ha paura della morte, perché ama la vita, ecco come la intendo io,” osservai “e cosí ha ordinato la natura.”

“È vile, e sta qui tutto l’inganno!” scintillarono i suoi occhi. “La vita è dolore, la vita è paura, e l’uomo è infelice. Ora tutto è dolore e paura. Ora l’uomo ama la vita, perché ama il dolore e la paura. E cosí hanno fatto. La vita si concede a prezzo di dolore e di paura, e sta qui tutto l’inganno. Ora l’uomo non è ancora quell’uomo. Vi sarà l’uomo nuovo, felice e superbo. A chi sarà indifferente vivere o non vivere, quello sarà l’uomo nuovo! Chi vincerà il dolore e la paura, quello sarà Dio. Mentre l’altro Dio non vi sarà.”

“Dunque, l’altro Dio c’è pure, secondo voi?”

“Non c’è, ma c’è. Nel masso non c’è il dolore, ma nella paura del masso c’è il dolore. Dio è il dolore della paura della morte. Chi vincerà il dolore e la paura, quello diverrà Dio. Allora vi sarà la vita nuova, l’uomo nuovo, tutto sarà nuovo... Allora la storia sarà divisa in due parti: dal gorilla alla distruzione di Dio, e dalla distruzione di Dio al...”

“Al gorilla?”

“... alla trasformazione fisica dell’uomo e della terra. L’uomo sarà Dio e si trasformerà fisicamente. Ed anche il mondo si trasformerà, e le azioni si trasformeranno, e i pensieri, e tutti i sentimenti. Che cosa ne pensate voi, si trasformerà allora l’uomo fisicamente?”

“Se sarà indifferente vivere o non vivere, tutti si uccideranno, ed ecco in che cosa forse consisterà la trasformazione.”

“Questo è indifferente. Uccideranno l’inganno. Chiunque voglia la libertà essenziale, deve avere il coraggio d’uccidersi. Chi ha il coraggio d’uccidersi, ha conosciuto il segreto dell’inganno. Piú in là non c’è libertà; qui è tutto, e piú in là non c’è nulla. Chi ha il coraggio d’uccidersi, quello è Dio. Ora ognuno può fare che non ci sia piú Dio e che non ci sia piú nulla. Ma nessuno l’ha ancora mai fatto.”

“Vi sono stati milioni di suicidi.”

“Ma sempre non per questo, sempre con la paura e non per questo. Non per uccidere la paura. Chi si ucciderà soltanto per uccider la paura, quello diverrà subito Dio.”

“Non ne avrà forse il tempo,” osservai.

“Questo è indifferente,” rispose piano, con pacato orgoglio, quasi con disprezzo. “Mi dispiace che voi par che ridiate” aggiunge dopo un mezzo minuto.

“E a me riesce strano che dianzi voi foste irritabile, mentre ora siete cosí tranquillo, anche se parlate con calore.”

“Dianzi? Dianzi era da ridere,” rispose con un sorriso; “io non amo ingiuriare e non rido mai,” soggiunse tristemente.

“Sí, non le passate allegramente le vostre notti bevendo il tè.” M’alzai e presi il berretto.

“Lo credete?” sorrise con una certa meraviglia. “E perché? No io... io non so,” si confuse a un tratto, “non so come succeda agli altri, ed anch’io sento cosí che non posso fare come tutti. Ognuno pensa, e subito dopo pensa a un’altra cosa. Io non posso pensare ad altro, io penso tutta la vita alla stessa cosa. Dio mi ha tormentato tutta la vita,” concluse a un tratto con sorprendente espansione.

[...]

“Ricordo che dicevate qualcosa di Dio... perché una volta voi mi spiegavate; anzi un paio di volte. Se vi ucciderete, diverrete un dio, mi pare, non è cosí?”

“Sí, io diverrò un dio.”

Pjotr Stepanovic non sorrise nemmeno; aspettava; Kirillov lo fissò con uno sguardo sottile.

“Voi siete un intrigante e un ingannatore politico, voi mi volete portare alla filosofia e all’entusiasmo, e produrre la conciliazione per disperdere l’ira, e, quando mi sarò riconciliato, ottenere il biglietto che io ho ucciso Satov.”

Pjotr Stepanovic rispose con un’ingenuità quasi naturale.

“Be’, ammettiamo pure che io sia un simile vigliacco, ma negli ultimi momenti ciò non vi è forse indifferente, Kirillov? Be’, perché ci letichiamo, dite per favore: voi siete un uomo cosí, e io un uomo cosí, che cosa ne viene? E per giunta tutti e due...”

“Vigliacchi.”

“Sí, magari, anche vigliacchi. Perché voi sapete che son soltanto parole.”

“Per tutta la vita non ho voluto che fossero soltanto parole. Per questo appunto son vissuto, perché non volevo. Anche ora voglio, ogni giorno, che non siano parole.”

“È che ognuno cerca dove si sta meglio. Il pesce... cioè ognuno cerca delle comodità di suo genere; ed ecco tutto. Lo si sa da tempo immemorabile.”

“Delle comodità, hai detto?”

“Be’, non vale la pena di star lí a discutere sulle parole.”

“No, hai detto bene, sia pure delle comodità. Dio è indispensabile, e perciò deve esistere.”

“A meraviglia.”

“Ma io so che non c’è e non può esserci.”

“Questo è piú giusto.”

“Possibile che tu non capisca che un uomo con due simili idee non possa rimanere fra i vivi?”

“Deve forse spararsi?”

“Possibile che tu non capisca che solo per questo ci si possa uccidere? Tu non capisci che ci possa essere un uomo cosiffatto, un uomo dei vostri mille milioni, uno che non vorrà e non sopporterà.”

“Capisco solo che voi, a quanto pare, esitate. È molto male.”

“Anche Stavrogin è stato inghiottito dall’idea,” Kirillov non s’accorse dell’osservazione, camminando con aria tetra per la stanza.

“Come?” aguzzò gli orecchi Pjotr Stepanovic, “quale idea? Lui stesso vi ha detto qualche cosa?”

“No, l’ho indovinato da me: Stavrogin anche se crede, non crede di credere. Se invece non crede, non crede di non credere.”

“Be’, Stavrogin ha anche qualche cosa di piú intelligente...” borbottò arcigno Pjotr Stepanovic, seguendo con inquietudine la piega del discorso e il pallido Kirillov.

“Che il diavolo lo porti, non si sparerà,” pensava, “l’ho sempre presentito; un cavillo cerebrale e nient’altro; che robaccia il popolo!”

“Tu sei l’ultimo che sta con me: io non vorrei separarmi da te male,” disse a un tratto Kirillov.

Pjotr Stepanovic non rispose subito. “Che il diavolo lo porti, che cos’è questo ancora?” pensò di nuovo.

“Credete, Kirillov, che io non ho nulla contro di voi, personalmente, e sempre...”

“Sei un vigliacco ed una mente falsa. Ma io son come te, e mi ucciderò, e tu resterai vivo.”

“Cioè volete dire che sono cosí basso che vorrò restare in vita.”

Non aveva ancora potuto decidere, se fosse vantaggioso o no continuare in un simile momento un tal discorso, e decise “d’abbandonarsi alle circostanze”. Ma il tono di superiorità e di quell’aperto disprezzo che Kirillov aveva sempre dimostrato per lui lo aveva sempre irritato anche prima, ed ora chi sa perché ancor piú di prima. Forse, perché Kirillov, che fra un’ora doveva morire (Pjotr Stepanovic lo aveva sempre presente), gli pareva qualcosa come una specie ormai di mezzo uomo, qualcosa, a cui ormai non si poteva in nessuno modo permettere d’essere altezzoso.

“A quanto pare, vi vantate davanti a me che vi sparerete?”

“Son sempre stato meravigliato che tutti rimanessero in vita,” Kirillov non udí la sua osservazione.

“Hm! Poniamo, questa è un’idea, ma...”

“Scimmia, tu annuisci per domarmi. Taci, non capirai nulla. Se non c’è Dio, io sono un dio.”

“Ecco, io non ho mai potuto capire questo vostro punto: perché siete un dio?”

“Se Dio c’è, tutta la volontà è sua, e sottrarmi alla sua volontà io non posso. Se no, tutta la volontà è mia, e son costretto a proclamar l’arbitrio.”

“L’arbitrio? Ma perché siete costretto?”

“Perché tutta la volontà è diventata mia. Possibile che nessuno su tutto il pianeta, avendola finita con Dio e avendo posto fede nell’arbitrio, osi proclamar l’arbitrio, nel senso piú completo? È come un povero che abbia ricevuto l’eredità e si sia spaventato, e non osi avvicinarsi al sacco, stimandosi impotente a possederlo. Io voglio proclamar l’arbitrio. Sia pure da solo, ma lo farò.”

“E fatelo.”

“Io sono obbligato a uccidermi, perché il momento piú alto del mio arbitrio è uccidere me stesso.”

“Ma non siete mica il solo a uccidervi: ci son molti suicidi.”

“Con una ragione. Ma senza alcuna ragione, ma solo per l’arbitrio, sono l’unico.”

“Non s’ucciderà”, balenò di nuovo nella mente di Pjotr Stepanovic.

“Sapete,” osservò con irritazione, “io al vostro posto, per mostrar l’arbitrio, avrei ammazzato qualcun altro, e non me stesso. Potreste essere utile. Vi indicherò chi, se non vi spaventerete. Allora, magari, non sparatevi nemmeno, oggi. Possiamo metterci d’accordo.”

“Uccidere un altro sarà il momento piú basso del mio arbitrio, e in ciò sei tutto tu. Io non sono te: io voglio il momento piú alto e ucciderò me stesso.”

“C’è arrivato da sé,” brontolò rabbiosamente Pjotr Stepanovic.

“Io son tenuto a proclamar l’assenza della fede,” Kirillov camminava per la stanza. “Per me non c’è un’idea piú alta di quella che non c’è Dio. È con me la storia dell’umanità. L’uomo non ha fatto altro che inventare Dio per vivere senza uccidersi; in ciò consiste tutta la storia universale fino ad oggi. Io solo, nella storia universale, non ho voluto per la prima volta inventare Dio. Che lo sappiano una volta per sempre.”

“Non s’ucciderà,” s’inquietava Pjotr Stepanovic.

“Chi ha da saperlo?” lo aizzava. “Qui non ci siamo che io e voi; Liputin, forse?”

“Tutti han da saperlo; tutti lo sapranno. Non c’è nessun mistero che non si palesi. L’ha detto Lui.”

E con febbrile entusiasmo Kirillov additò l’immagine del Redentore, dinanzi alla quale ardeva una lampada. Pjotr Stepanovic s’arrabbiò definitivamente.

In Lui, dunque, voi credete ancora e avete acceso la lampada; non lo avete mica fatto “a buon conto”?”

Quello non rispose.

“Sapete, secondo me, voi credete, magari, anche piú di un pope.”

“In chi? In Lui? Ascolta.” Kirillov si fermò, guardando innanzi a sé con uno sguardo immobile, esaltato. “Ascolta una grande idea: c’era sulla terra un giorno, e in mezzo alla terra stavano tre croci. Uno sulla croce credeva al punto che disse all’altro: “tu sarai oggi con me in paradiso”. Il giorno finí, tutti e due morirono, andarono e non trovarono né il paradiso, né la risurrezione. Non si avverava ciò ch’era stato detto. Ascolta: quest’uomo era il piú alto su tutta la terra, costituiva ciò per cui essa doveva vivere. Tutto il pianeta, con tutto ciò ch’è sopra di esso, senza quest’uomo, non è che una pazzia. Non c’era stato né prima, né dopo di Lui uno simile a Lui, e non ci sarà mai, fino al miracolo. In ciò appunto sta il miracolo, che non c’è stato e non ci sarà mai uno simile. E se cosí è, se le leggi della natura non hanno risparmiato nemmeno questo, non hanno avuto pietà nemmeno del proprio miracolo, ma hanno costretto anche Lui a vivere in mezzo alla menzogna e a morire per la menzogna, vuol dire che tutto il pianeta è menzogna e sta sulla menzogna e su una stolta irrisione. Vuol dire che le stesse leggi del pianeta son menzogna e un vaudeville del diavolo. A che, dunque, vivere, rispondi, se sei un uomo?”

“Questa è un’altra piega della questione. Mi pare che in voi si siano mescolate due cause diverse; e ciò è assai sospetto. Ma permettete, be’, e se voi foste un dio? Se fosse finta la menzogna, e voi aveste indovinato che tutta la menzogna deriva dal fatto che c’era il Dio di prima?”

“Finalmente hai capito!” esclamò Kirillov con entusiasmo. “Vuol dire che si può capirlo, se anche uno come te ha capito! Lo capisci tu ora che tutta la salvezza per tutti è dimostrare a tutti quest’idea? Chi la dimostrerà? Io! Io non capisco: come può aver saputo l’ateo finora che non ci fosse Dio e non essersi ucciso subito? Capire che non c’è Dio e non capire nello stesso momento d’esser diventato tu stesso un dio è un’assurdità, perché se no ti uccideresti assolutamente da te. Se lo capisci, sei zar e ormai non ti ucciderai da te, ma vivrai nella gloria piú eccelsa. Ma uno, quello che lo scopre per primo, deve uccidersi assolutamente, se no chi, dunque, comincerà e dimostrerà? Io mi ucciderò assolutamente, per cominciare e dimostrare. Io non sono ancora che un dio per forza e sono infelice, poiché son costretto a proclamar l’arbitrio. Tutti sono infelici, perché tutti hanno paura di proclamar l’arbitrio. Per questo appunto l’uomo è stato finora cosí infelice e povero, perché temeva di proclamare il punto principale dell’arbitrio, e commetteva gli arbitrî di straforo; come uno scolaro. Io son terribilmente infelice, perché temo terribilmente. La paura è la maledizione dell’uomo... Ma io proclamerò l’arbitrio, sono obbligato a credere di non credere. Io comincerò, e finirò, e aprirò la porta. E salverò. Solo questo salverà tutti gli uomini e già nella seguente generazione li rigenererà fisicamente; poiché con l’aspetto fisico presente, per quanto ho pensato, l’uomo non può fare a meno di Dio in nessun modo. Per tre anni ho cercato l’attributo della mia divinità e l’ho trovato: l’attributo della mia divinità è l’Arbitrio! È tutto ciò, con cui io posso mostrare nel punto principale la rivolta e la mia nuova paurosa libertà. Poiché essa è assai paurosa. Io mi uccido per mostrare la rivolta e la mia paurosa libertà.”


Con questo articolo saluto un grande uomo!!!
Bella dura Giaguaro!!!
Salut!
 
posted by Senza Padroni at 12:47 PM | 0 comments