lunedì, maggio 29
Gli arbitri sono venduti
Le partite sono truccate
L’ottantacinque per cento dei reati non viene perseguito
I processi durano dai dieci ai vent’anni
Alcuni parlamentari italiani non sanno neanche come si chiamano oltre a non ricordare la data della scoperta dell’America o della rivoluzione francese
Una azienda telefonica invita le proprie clienti adolescenti a mettere in “rete” foto e filmati pornografici offrendo loro una ricarica gratuita e viene considerato colpevole di pedopornografia solo chi li guarda.
Si può corrompere un giudice e influenzare una sentenza intascando centinaia di milioni di euro e quando dopo 15 anni si arriva a una sentenza di condanna si va in galera qualche giorno e poi agli arresti domiciliari... probabilmente in una di quelle ville faraoniche che nel frattempo si sono potute acquistare con i sopracitati milioni.
Se poi si appartiene ad una particolare organizzazione politica quando si viene indagati dalla magistratura per qualsiasi motivo ci si può dichiarare perseguitati politici e ricevere visite in carcere e attestati disolidarietà e stima da parte di ogni autorevole collega di partito.
Benvenuti nella repubblica delle banane
Vasco Rossi per XL
 
posted by Senza Padroni at 8:54 PM | 0 comments
sabato, maggio 27
Quasi quasi scrivo un articolo su quello che sta succedendo nel mondo del calcio, ormai, più di prima, allo sbando totale... Programmi televisivi si susseguono su questo tema, programmi televisivi sono scomparsi (grazie Biscardi), e la gente legata al calcio non fa che parlare di questo. Ora il problema nasce anche, e dico anche perchè non è solo per questo, non si è mai dato ascolto agli ultras. Voi direte, chi? Quei teppisti che si ubriacano e si picchiano negli stadi? E io vi rispondo si, proprio quelli. Non posso stare qui ora a spiegarvi cosa sia un ultras, anche perchè non è questo l'articolo, ci sarà anche questo ma ora leggete e meditate. Da tantissimo tempo gli ultras di tutta Italia, si sono schierati contro il palazzo, vale a dire Carrano, Galliani, ma non solo, intendiamo palazzo tutti quelli che si sono fatti l'impero sulle spalle di chi il calcio lo ha come passione, come amore per le proprie radici. Il ministro Pisanu negli anni in cui ha potuto decidere, ha solo fatto leggi per distruggere tutto quello che riguardasse la curva in se per se, Carrano prima delle sue dimissioni, guarda caso avvenute prima che il polverone diventasse un ciclone violentissimo, in un'intervista, addirittura, aveva proposto di eliminare gli striscioni!!!!!!! Mi viene da ridere pensando a cosa questi individui nascondevano. Brogli su brogli, partite vendute, arbitri pilotati, scommesse, e per finire e lo voglio dire per amor della verità, tolleranza assoluta per chi, polizia di stato, carabinieri, ha sempre abusato del proprio potere, speriamo anche loro vangano puniti. Nessuno dice che gli ultras queste cose le hanno sempre dette, però se fossero stati ascoltati, saremmo già a buon punto del risanamento, e invece ora ci troviamo al punto che questa gente verrà punita, non si quando però e poi tutto finirà... Tutti si sono resi protagonisti di dichiarazioni contro gli ultras e contro chi va allo stadio per tifare la propria città, e poi???? Ecco cosa sono questi custodi del bene: delinquenti che avrebbero continuato a far i propri comodi buttando merda su ragazzi che hanno solo una passione che nessuno può toccare. Tutti ora sono pronti a mettersi dalla parte del giusto, ma tutti hanno l'anima macchiata... Come dice un maestro: tutti hanno messo una pietra e tutti ne hanno tolta una al momento della demolizione... Tutti hanno responsabilità, tutti devono pagare, dirigenti, presidenti, giocatori, giornalisti, procuratori, bastardi e puttane di ogni genere... La giustizia italiana fa schifo ecco perchè non nutro molte speranze, ma come si suol dire, è ultima a morire... Tra quindici giorni iniziano i mondiali, spero che nessuno si dimentichi ciò che stiamo attraversando e se vincessimo, siamo sempre allo stesso punto, non punto e a capo...
Lunga vita a chi va oltre...
Lunga vita agli Ultras

Dedicato all'ultimo fratello finito sotto effetto DASPO senza essere neanche entrato nello stadio...
 
posted by Senza Padroni at 8:55 PM | 3 comments
venerdì, maggio 26
Ricollengandoci all'ultimo articolo, e scusandoci del distacco ma...guarda caso il lavoro ci ruba un sacco di tempo!!!! Per meglio dire la canzone di De Andrè liberamente tratta da un canto studentesco francese del 68, ecco proporvi un quadro riassuntivo della situazione francese di quel periodo così, potrete capire anche meglio il significato del testo del cantautore genovese.
Buona lettura...
Nessuno aveva previsto l'esplosione del maggio 1968 in Francia, ma tutti ne hanno dato, a cose fatte, una spiegazione: spesso illuminante, senza però essere del tutto soddisfacente. Falsa rivoluzione politica, vero psicodramma sociale, pulsione liberatrice e ludica, rinnovamento culturale: il Maggio francese è un po' tutto questo, conservando un lato misterioso o, almeno, irrazionale. Certo, uno sguardo retrospettivo non manca di cogliere qualche segno premonitore. Basti dire che, nell'autunno 1967, esce un film di Jean-Luc Godard, La Chinoise, ritratto di una studentessa rivoluzionaria maoista; e che, su Le Monde del 15 marzo 1968, l'editorialista Viansson-Ponté constata che "la Francia si annoia". In mancanza di meglio, seguiamo queste due piste: da una parte, la descrizione di un paesaggio alquanto smorto; dall'altra, la ricerca di un cambiamento radicale che si afferma tra i giovani. Nel 1968, il generale De Gaulle governa la Francia da dieci anni: è all'apogeo della sua seconda carriera. Ha instaurato un regime stabile che rinforza l'esecutivo senza abrogare la democrazia, anche se alcuni continuano a denunciare i rischi del potere personale. Ha risolto, non senza difficoltà, la questione algerina; ha ristabilito il prestigio della Francia nel mondo, imponendo il suo paese nel club delle potenze nucleari; ha approfittato della prosperità economica per creare l'asse franco-tedesco, una collaborazione privilegiata con l'avversario di ieri nel quadro della costruzione dell'Europa. I francesi si arricchiscono, distogliendosi dalle recenti dispute sulla natura del regime e sulla sorte delle colonie. Il ritorno del gollismo ha alterato, per il suo contenuto populista, la tradizionale linea di confine tra destra e sinistra e la sinistra stenta a individuare le nuove strutture che potrebbero consentirle di muoversi con efficacia nel quadro politico della Quinta Repubblica. Il Partito Comunista resta stalinista, nonostante qualche accenno velleitario di evoluzione. Il sindacato Sfio paga il prezzo delle sue oscillazioni tra un'ideologia pur sempre rivoluzionaria e una pratica riformista che non esclude i compromessi con la destra. Si apre così uno spazio libero per il tradizionale spirito repubblicano e le nuove esigenze sociali: una fioritura di clubs, circoli intellettuali e vari laboratori politici (il Psu, per esempio) tenta di compensare le carenze dei partiti maggiori. François Mitterrand, personaggio politico esperto e difficilmente classificabile, si adopera a unificare alcune di queste forze disponibili (specialmente nella Cir) e le potenzialità elettorali dei socialisti, dei comunisti e del centro-sinistra. È soprattutto la componente giovanile della popolazione a smuovere la situazione; e a smuoverla al di fuori degli schemi tradizionali. La gioventù, uscita dal baby-boom del dopoguerra, è particolarmente numerosa. La sua vitalità si esprime nelle fabbriche (come si vede nel gennaio 1968 alla Saviem di Caen), nei concerti rock e pop, in determinate organizzazioni politiche (l'Uec, il Ceres, i gruppuscoli di estrema sinistra), ma soprattutto nelle università. La massificazione dell'insegnamento, durante gli ultimi anni (50 mila universitari nel 1936, 250 mila nel 1960, 500 mila nel 1968) non resta senza conseguenze. L'università è uscita dalle mura delle città, ha costruito dei campus in campagna o sui terreni abbandonati della periferia di Parigi, senza però abbandonare le sue tradizioni: corsi solenni, dominio dei mandarini, trasmissione autoritaria del sapere, costumi conformisti (soprattutto nelle relazioni sessuali). Nel 1968, i giovani sono cresciuti nell'abbondanza priva di uguaglianza della società dei consumi. Non hanno l'assillo di trovare un lavoro e possono indulgere alle suggestioni culturali dell'epoca, scegliendo liberamente il proprio corso di studi e infiammandosi per le ideologie più radicali. La rivendicazione di maggior libertà in una società rigida, il terzomondismo, la contestazione della guerra americana in Vietnam e, per gli studenti liceali, la minaccia della selezione al momento di entrare nell'università: ecco i temi capaci di mobilitarli. Se si accetta il paragone tra il maggio 1968 e un incendio, bisogna dire che il fuoco sembra accendersi fin dal mese di marzo, presso le facoltà di Nanterre, a ovest di Parigi. Le prime scintille nascono dalla mistura tra rivendicazioni riguardanti le relazioni tra ragazze e ragazzi nelle residenze studentesche e militanza contro la guerra nel Vietnam. Il 22 marzo si crea un movimento di solidarietà a favore di un compagno di studi, attivista trotzkista, arrestato per qualche ora dopo un attentato alla sede parigina dell'American Express, simbolo degli Stati Uniti. In questa occasione, si ha la conferma di un leader: Daniel Cohn-Bendit, di famiglia tedesca ma residente in Francia, di ascendenze anarchiche, notevole oratore. Dopo aver occupato simbolicamente la facoltà di Nanterre, i giovani "arrabbiati" (è così che si definiscono) partecipano, il 29 marzo, malgrado la presenza guardinga delle forze di polizia, all'occupazione della Sorbona, il prestigioso bastione dell'università francese. La scena sarà recitata di nuovo in primavera, con le stesse caratteristiche ma in crescendo: da parte degli studenti, un misto di audacia, improvvisazione e creatività, soprattutto negli slogan, i manifesti, i discorsi; da parte delle istituzioni - che si tratti del potere, delle autorità universitarie o della sinistra ufficiale - una incomprensione dello stato d'animo giovanile, la preoccupazione di evitare la diffusione dell'incendio e di non creare martiri, il timore dello straripamento irresponsabile. L'incendio temuto si produrrà comunque a partire dal 3 maggio, in seguito al fermo per il controllo dell'identità di qualche centinaio di studenti, tra i quali alcuni leaders ancora sconosciuti al grande pubblico, in particolare Jacques Sauvageot, dell'Unef, il trotzkista Alain Krivine e Daniel Cohn-Bendit. Nella sorpresa generale, gli studenti si mobilitano numerosi contro "la repressione poliziesca", al grido di "Crs=SS". È la prima giornata di disordini nel quartiere latino, contraddistinta dalla violenza degli scontri tra manifestanti e poliziotti. La condanna di quattro studenti al carcere senza condizionale rilancerà la spirale degli scontri, allargando l'area dei contestatori (che include lo SneSup di Alain Geismar). Si lasciano le assemblee generali di facoltà per andare a sfilare in corteo a Parigi, sfidando le forze di polizia dietro barricate improvvisate, sotto gli sguardi stupiti e, in una prima fase, complici del pubblico. Le radio trasmettono in diretta le cronache del grande scompiglio e i parigini corrono ad assistere allo spettacolo dei dibattiti che sostituiscono i corsi universitari, dei faccia a faccia (e successive rincorse) tra manifestanti e poliziotti, in mezzo al fumo delle automobili incendiate e delle granate lacrimogene. La notte del 10 maggio segna l'acme degli scontri. E fa sì che i grandi sindacati, in particolare la Cgt e la Cfdt, fino ad allora cauti o diffidenti, entrino in scena con l'annuncio di uno sciopero generale di 24 ore e di una manifestazione il 13 maggio. Di ritorno da un viaggio ufficiale in Afghanistan, il primo ministro Georges Pompidou entra anche lui nella danza, che, per quanto riguarda gli altri responsabili del governo, Louis Joxe, Christian Fouchet, Alain Peyrefitte, somigliava a un valzer delle esitazioni. Pompidou decide misure di pacificazione (gli studenti imprigionati sono liberati; la polizia, dopo averla occupata, sgombra la Sorbona) e si prepara al negoziato sulle questioni sociali. Il mondo del lavoro prende la staffetta della contestazione studentesca, già sostenuta nell'ambiente culturale (il festival del cinema di Cannes si è autodisciolto). Molte fabbriche vengono occupate dagli operai, in pochi giorni la Francia è paralizzata dagli scioperi e dall'interruzione del rifornimenti di energia. In mancanza della benzina, la gente passeggia nelle strade, si parla, si aiuta a vicenda, partecipa alla ricreazione generale in una specie di euforia primaverile. Con l'immagine della "carnevalata"(chienlit: così ne parlò il generale De Gaulle), sono questi i ricordi del maggio 1968 - crisi violenta il cui bilancio non è, miracolosamente, molto sanguinoso - che resteranno nella memoria. Il potere, che non dispone più dei suoi abituali strumenti di comunicazione giacché la televisione pubblica (la sola esistente allora) è in sciopero, fatica a trovare una soluzione politica. De Gaulle promette un referendum sul tema della partecipazione, ma non convince. Pompidou organizza un grande negoziato con il padronato e i sindacati, mentre non si trova niente di meglio che proibire il soggiorno in Francia a Cohn-Bendit. Tutto inutile. Le manifestazioni a carattere insurrezionale - da segnalare il tentativo di incendiare quel tempio del denaro che è la Borsa di Parigi - riprendono il 23 e il 24 maggio, nella capitale e in molte città di provincia. Il progetto di accordo prospettato dai negoziati di Grenelle è subito respinto dalla base operaia, malgrado le conquiste che esso prospetta (e che saranno accettate più tardi). I partiti di sinistra non cavano alcun profitto dalla situazione e anche il ricorso a una personalità circondata di rispetto come Pierre Mendès-France va a vuoto. Il massimo dello scompiglio è raggiunto il 29 maggio con la sparizione, durata qualche ora, del generale De Gaulle: il potere vacilla, ma coloro che vorrebbero prenderlo, non ne sono in grado; e coloro che potrebbero impadronirsene, non lo desiderano. La situazione cambia all'improvviso quando De Gaulle, rincuorato, riprende le redini dello Stato, che Pompidou ha tenuto con sangue freddo. Il 30 maggio, in un discorso radiofonico, De Gaulle annuncia, col tono deciso e solenne che gli è consueto, la sua intenzione di restare al potere, ripristinare l'autorità, sciogliere l'Assemblea nazionale per sottoporsi alla verifica democratica delle elezioni. Una imponente manifestazione gollista in quello stesso giorno a Parigi, seguita presto da altre in provincia, segna una svolta, ratificata di lì a poco dagli scrutini del 23 e del 30 giugno, anche se, per buona parte del mese, si protrarranno scioperi e scontri di piazza. La Quinta Repubblica continua, la società francese ritrova i suoi valori e i suoi week-end, che provocano ben più morti sulle strade, ma i semi di numerosi cambiamenti sono gettati. De Gaulle si ritirerà l'anno seguente, dopo la sconfitta del suo referendum-test. La ricomposizione della sinistra socialista diventerà possibile, anche se non facile, e il declino del Pcf si accentuerà. L'università sarà riformata e il mondo del lavoro trarrà qualche beneficio dalla crisi. L'eredità del Maggio si tradurrà soprattutto nella rapida evoluzione dei costumi, accolta sul piano legislativo, e dall'affermarsi nel dibattito pubblico e nella sensibilità comune dell'idea che, grazie a una ispirazione più libera e inventiva, esista un altro modo di vivere la propria vita e altri mezzi per cambiarla.

Da media68.net
 
posted by Senza Padroni at 6:39 PM | 1 comments
lunedì, maggio 22
Canzone del maggio

Anche se il nostro maggio
ha fatto a meno del vostro coraggio
se la paura di guardare
vi ha fatto chinare il mento
se il fuoco ha risparmiato
le vostre Millecento
anche se voi vi credete assolti
siete lo stesso coinvolti.
E se vi siete detti
non sta succedendo niente,
le fabbriche riapriranno,
arresteranno qualche studente
convinti che fosse un gioco
a cui avremmo giocato poco
provate pure a credervi assolti
siete lo stesso coinvolti.
Anche se avete chiuso
le vostre porte sul nostro muso
la notte che le pantere
ci mordevano il sedere
lasciandoci in buonafede
massacrare sui marciapiedi
anche se ora ve ne fregate,
voi quella notte voi c'eravate.
E se nei vostri quartieri
tutto è rimasto come ieri,
senza le barricate
senza feriti, senza granate,
se avete preso per buone
le "verità" della televisione
anche se allora vi siete assolti
siete lo stesso coinvolti.
E se credete ora
che tutto sia come prima
perché avete votato ancora
la sicurezza, la disciplina,
convinti di allontanare
la paura di cambiare
verremo ancora alle vostre porte
e grideremo ancora più forte
Per quanto voi vi crediate assolti
siete sempre coinvolti



Si tratta di una canzone di protesta, liberamente tratta da un canto degli studenti parigini del maggio '68, quando si registrarono scioperi operai e manifestazioni studentesche contro il sistema capitalistico, accusato di produrre sfruttamento e ingiustizie sociali e di manipolare le coscienze con le verità dei mass-media. Rievoca gli avvenimenti accaduti e, rivolgendosi a quelli che alla lotta non hanno partecipato, li accusa e ricorda loro che chiunque - anche chi, in quelle giornate, si è chiuso in casa per paura, menefreghismo o avversione - è ugualmente coinvolto negli avvenimenti. Il finale sostiene che la rivolta, lungi dall'essere esaurita, ci sarà ancora, ed ancora più forte, in futuro. Esprimendo le motivazioni più profonde della protesta e della rivolta sessantottina, De André dichiara la propria adesione al movimento attraverso l'uso dell'aggettivo nostro e si schiera, come sempre del resto, contro i benpensanti che videro minacciato l'ordine stabilito. Il ceto medio, opportunista e formalista, è rappresentato con grande efficacia attraverso pochi elementi: la millecento, la fiducia nella televisione, il desiderio di non compromettersi votando ancora la sicurezza, la disciplina.
fonte del commento www.giuseppecirigliano.it
 
posted by Senza Padroni at 8:35 PM | 0 comments
sabato, maggio 20
Bukowski non sa vestire, Bukowski non sa parlare, Bukowski ha paura delle donne, Bukowski ha lo stomaco in cattivo arnese, Bukowski é pieno di terrori, odia i vocabolari, le monache, le monete, gli autobus, le chiese, le panchine del parco, i ragni, le mosche, le pulci, i depravati; Bukowski non ha fatto la guerra. Bukowski é vecchio, Bukowski non fa volare un aquilone da 45 anni; se Bukowski fosse una scimmia lo caccerebbero dalla tribù...

Difficile spiegare alla gente chi era Bukowski e cosa ha fatto. Se ci pensi bene, in fin dei conti, nella sua vita non ha fatto un emerito cazzo, passava il suo tempo con le labbra attaccate ad una bottiglia di alcool (tra le sue bevande preferite whisky e acqua) e poi sfogava tutto sulla sua macchina da scrivere. Era un tipo scomodo ecco perchè tutti non sono riusciti ad apprezzarlo.
Io l'ho conosciuto quasi per caso, leggendo un articolo su una rivista che parlava prorpio di lui. Mi colpirono le sue frasi, la sua vita fuori dalle righe, il suo senso di libertà e di menefreghismo: Charles era in lite con tutto il Mondo. Se ne fragava delle apparenze e adorava scommettere i suoi pochi soldi sulle corse dei cavalli e quelle rare volte che riusciva a vincere, spendeva la vittoria a puttane.
Era uno che stava dalla nostra parte, dalla parte dei Senza Padroni.
Ecco a voi la sua bibliografia tratta da un sito dedicato tutto a lui.
Non perdetevi i suoi romanzi ("Post office", "Factotum", "Donne", "Panino al prosciutto", "Hollywood, Holywood!", "Pulp")!



Il 9 marzo 1994, all'età di 73 anni, Charles Bukowski concludeva la sua esistenza in un ospedale di San Pedro (California), dov'era ricoverato per leucemia. II 16 agosto del 1920 nasceva ad Andernach, presso Colonia.
Due anni dopo Henry Bukowski Sr., di origine tedesca ma ex artigliere delle truppe americane, con la moglie Katherine Fett, si trasferiva a Los Angeles. I Bukowski istituirono un granitico bunker familiare, blindato contro ogni input proveniente dalla nuova comunità: gli sbiaditi ricordi d'infanzia di Charles sono i continui ammonimenti familiari a non avere contatti con i coetanei. A sei anni, e un bambino che ha gia’ formato una propria linea di carattere: schivo e impaurito. Escluso dalle partite a baseball sotto casa, irriso per il suo tenue accento teutonico, manifesta difficoltà d'inserimento. Alla Junior High School non passa inosservato: i professori ricordano di lui lo sguardo sardonico e il ghigno diabolicamente critico. Alla Junior ricevette il primo plauso per il suo fuoco letterario. Si trattava di una semplice relazione sulla visita del presidente Hoover: Charles fece il miglior compito, molto al di sopra della media, ma la sorpresa del docente fu un'altra: «Rimase veramente sbalordito quando ammisi candidamente che non mi ci ero recato».
A tredici anni comincia a bere con una chiassosa banda di teppistelli. Un anno dopo scrive il suo primo racconto basandolo su un personaggio: per metà reale e per metà immaginario: il generale Von Richtofen, asso aereo della prima guerra mondiale. Non fu una carezzevole linfa creativa, ma la rabbia verso la vita; la molla che lo spinse al furore compositivo. L'adolescente Bukowski dovette fare i conti con una spaventosa forma di acne arginabile solo con l'uso di speciali aghi elettrici: "II mio viso, il torace e la schiena erano copiosamente coperti di pustole grosse come chicchi d'uva. Ero il brutto del vicinato. Tutto questo mentre gli altri miei coetanei cominciavano a toccare le ragazzine...". Nel 1938 si diploma stancamente alla L.A. High School. Assunto come magazziniere alla Sears & Roeblick, si licenziò dopo una settimana: "Come si spiegavano quelle vite da operaio senza alcun senso? Esseri che nell'application form non avevano avuto difficolta’ a dichiararsi FELICI di lavorare un'intera vita alle dipendenze della Sears. I Capi? Senz'anima e di mediocre intelletto, implacabili con i subalterni. Leggendo Céline si consolidò il mio incondizionato rifiuto per ogni forma di lavoro regolamentato". Henry Sr. non la pensava così. Un pomeriggio di un giorno qualunque di quello stesso anno, Hank, tornando verso casa molto ubriaco, vide i fogli delle sue poesie svolazzare per il prato, vide suo padre urlare mentre gli scagliava contro la macchina da scrivere, vide sua madre tendergli frettolosamente qualche dollaro. Per soli $ 1.50 Hank esordi nell'Underworld: prese in affitto una camera sporca in una pensione-bordello di tagliagole filippini. Tirava avanti facendo piccole comissioni agli avventori del Glenview, il suo abituale bar, che lo ripagavano in bevute. Si picchiava nei vicoli, si svegliava sulle panchine del parco. L'attacco a Pearl Harbor coincise con l'inizio di un biennale vagabondaggio tra New Orleans,. San Francisco, St. Louis. A Philadelphia venne prelevato dall'Fbi e condotto nel carcere di Moyemensing.
Accusato di draft-dodgin, renitenza alla leva, per non aver tempestivamente comunicato i suoi spostamenti, fu scarcerato quando le autorità militari accertarono che ciò era avvenuto non intenzionalmente. "Non fu certo un trauma, ero solo sorpreso di come la vita fosse facile li dentro quanto incomprensibile fuori." A Philadelphia fece l'amore per la prima volta, a 23 anni: "Con una donna che pesava piu di cento chili". Henry Sr., intanto, descriveva meticolosamente al vicinato le eroiche azioni del figlio al fronte con i Japs. Nel 1944 pubblica il racconto Aftermath of a lenghb Rejection Slip sulla leggendaria Story e incomincia un burrascoso rapporto decennale con Jane Baker. Viene assunto dal Postal Service. Una sera, ubriacatosi pesantemente con la sua compagna alcolizzata, è vittima di una abbondante emorragia dalla bocca e dal retto. Ricoverato in condizioni disperate, viene salvato grazie alle trasfusioni di sangue donatogli dal padre. Nel tentativo di allontanarsi dall'alcool comincia a recarsi all'ippodromo dove, al contrario, si ubriaca regolarmente.Nel 1959 gli vengono pubblicate otto poesie sulla rivista Harlequin: la direttrice Barbara Frye accetta la proposta di matrimonio di Hank per corrispondenza. Si separarono due anni dopo. L'editore John Webb, nel 1962, gli pubblica la prima raccolta di poesie, It Catches myHeart from my Hands (parzialmente tradotta in: C.B., Poesie, a cura di Vincenzo Mantovani, Oscar Mondadori, 1986, prima ed.). Le intenzioni suicide si fanno piu frequenti quando Henry Sr. muore per infarto e Jane viene stroncata dall'alcool. Riesce tuttavia ad aumentare le sue collaborazioni con riviste letterarie underground come Epos, Outsiderl Breakthru. Nel settembre dei 1964 diviene padre di Marina, nata dall'unione con Frances Smith, una giovane poeta. Comincia l'importante collaborazione con il settimanale off Open City: le sue velenose colonne verranno raccolte nel volume Nofes ofa Dirty Old Man (Taccuino di un vecchio sporcaccione, Guanda, 1979, in prima edizione, poi edito da Feltrinelli) che gli regalerà ampi consensi fra gli ambienti bella protesta giovanile. La speranza di poter divenire uno scrittore full time gli diede il coraggio di licenziarsi dall'insopportabile ufficio postale all'età di 49 anni. Contemporaneamente si separa dall'irrequieta Linda King (la co-protagonista di Women: trad. it. Donne, SugarCo,1980).
Comincia il periodo dei readings poetici, vissuti come vero e proprio tormento: "I momenti prima di cominciare erano un incubo: dovevo sempre ubriacarmi pesante e vomitare". Alla fine di una lettura particolarmente sofferta, nel 1976, conobbe Linda Lee, l'unica tra le sue bizzose compagne che fu capace di mettere freno all'imprevedibilità autodistruttiva di Hank. "Linda era stata mandata dagli dei per salvarmi la vita. " Gli cambiò regime alimentare, gli ridusse l'alcool, lo incoraggiò a non alzarsi mai prima di mezzogiorno ("il mio segreto per essere un grande scrittore"), lo invitò a recarsi assiduamente ad Hollywood Park per assistere alle corse. Gli stenti del vagabondo erano terminati: ai più era conosciuto come il bizzarro scrittore di Tales of Ordinary Madness. Furono proprio queste pagine che ispirarono a Marco Ferreri il film omonimo, nel 1981: "Mi recai al cinema con Linda: che impressione quando vidi il titolo. Poi una sensazione di essere in trappola: tutta quell'insopportabile gente che domandava autografi. Per fortuna uno capi e mi porse una bottiglia di whiskey. In verità ero già parecchio ubriaco. II film? Linda mi ha detto che alla fine della proiezione urlai "Buttatelo al cesso". In più non mi pagarono neanche un dollaro... ".
Riluttante verso altri tentativi, accettò nel 1987, dopo decine di rifiuti, la proposta cinematografica del regista Barbet Schroeder: Barfly ovvero la rappresentazione del giovane Hank-barbone. Il film ebbe come interpreti Mickey Rourke e Faye Dunaway, insieme ad un gruppo di vere 'mosche da bar', e per supervisore Francis Ford Coppola. Gli ultimi anni sono vissuti in grande serenità ed agiatezza "Ora mi piace stare a bere vino buono e a carezzare i miei gatti. Ho comperato una Bmw. Nera. Per veri duri. Posso stare a letto quanto voglio, starmene tranquillo: è quello che ho sempre desiderato". Ma la prolifica vena compositiva non venne meno: con le condizioni fisiche che via via si aggravavano (si ammalò di tubercolosi nel maggio 1988) usci’ con quattro pubblicazioni nel giro di tre anni. Poi la morte: "Ti ho dato tante di quelle occasioni che avresti dovuto portarmi via parecchio tempo fa. Vorrei essere sepolto vicino all’ippodromo… per sentire la volata sulla dirittura d’arrivo".
*All'anagrafe risulta come Henry Charles Bukowski, Jr. "Henry mi ha stancato perchè i miei genitori mi chiamavano solo per fare qualche commissione o perchè dovevano picchiarmi. Charles è O.K. solo sulla pagina scritta. È un gran pasticcio. Così dico alla gente di chiamarmi Hank. Il, bravo, vecchio Hank."

 
posted by Senza Padroni at 4:11 PM | 0 comments


Questa vicenda mi ha dato la forza di reagire a tutto quello che ho subito in fabbrica. Il senso della mia vita è quello di continuare a lottare: voglio vivere, non voglio andarmene così. Non posso stare seduto ad aspettare la fine... che questa malattia mi consumi del tutto, senza aver fatto nulla per riacquistare la mia dignità di uomo. Dico ai miei tre figli: vedete, nella mia sfortuna lotto perchè ho un debito nei vostri e nei miei confronti. Se sentite di stare nel giusto, andate avanti senza alcun timore. Il pensiero che maggiormente mi preoccupa è di lasciarli, perchè questa terra non offre nulla, nel momento in cui hanno maggiormente bisogno. Assieme a mia moglie sono la mia forza. Il male un pò mi ha cambiato, nel senso che mi ha aperto:ora non ho più niente da perdere.

Nicola Lovecchio: operaio morto per un tumore protratto nell'Enichem. Grazie al suo sforzo investigativo, con l'aiuto di Medicina Democratica, ha aiutato tante vittime dell'Eni a denunciare e far arrestare i colpevoli di questa strage di cui nessuno più, ahimè, parla...

Questo il retrocopertina del bellissimo libro di Giulio Di Luzio, giornalista biscegliese, per molti anni del Manifesto, che si è occupato delle problematiche legate al lavoro e all'immigrazione. Un libro dal mio punto di vista autentico e molto crudo che descrive in maniera chiara e senza ombre, le questioni legate all'insediamento e ai danni che l'industria di stato ENI ha portato a Manfredonia e tutti i retroscena legati alla giustizia italiana incapace, come avviene spesso, di punire i colpevoli senza, come in questo caso, che vite umane vengano sacrificate...
 
posted by Senza Padroni at 3:25 PM | 1 comments
venerdì, maggio 19

Abidjan, 7 febbraio 1999. “Il giorno in cui la leggenda degli Elefanti è iniziata”, proclama un giornale sportivo della Costa d’Avorio. Quel giorno l’ASEC di Abidjan, il club più titolato dell’ex-colonia francese che dal 1960 era diventata una repubblica, conquistò la Supercoppa Africana sconfiggendo 3-1 l’Espérance di Tunisi. L’impresa non fu tanto il risultato in sé stesso, quanto chi la compì: una selezione di diciassettenni e diciottenni tutti al loro esordio in prima squadra. Insomma la squadra primavera dell’ASEC fatta debuttare in blocco nella finale di un importante trofeo africano. Qualche nome? Kolo Tourè, Barry Boubacar, Didier Zokora, Adoulay Djirè, Gilles Yapi-Yapo, Siaka Tienè e Aruna Dindane. Tra poco molti di loro difenderanno i colori della propria nazionale in Germania. Il tutto grazie a un personaggio bizzarro, avventuroso e pieno di idee come Roger Ouegnin, il presidente dell’ASEC che nel 1993 ebbe l’intuizione di costruire una vera e propria accademia giovanile di calcio. Un progetto rivoluzionario in un continente, quello africano, ricchissimo di talento ma povero di risorse per formarlo e svilupparlo al meglio. Come braccio destro nella conduzione dell’accademia Ouegnin scelse l’ex centrocampista francese Jean-Marc Guillou, al quale venne affidato l’incarico di direttore tecnico. I primi frutti cominciarono ad arrivare nel 1998, quando l’ASEC vinse la Coppa Campioni Africana; poco dopo i primi giocatori partirono per l’Europa. Il capitano Tchireossa Guel venne ceduto all’Olympique Marsiglia, altri scelsero i campionati dell’Europa orientale, qualcuno invece si trasferì nell’Africa del Nord. Il primo impegno che i neocampioni d’Africa si trovarono a dover affrontare la stagione successiva fu la Supercoppa Africana, per la quale Ouegnin ebbe un’idea temeraria e geniale allo stesso tempo: decise di mandare in campo la squadra giovanile. Scoppiò il finimondo, specialmente tra i tifosi dell’ASEC, che causarono le dimissioni di Francis Ouegnin, fratello di Roger, dalla carica di vice-presidente della società, ma anche tra gli avversari, con il presidente dell’Espérance Tunisi Slim Chiboub che parlò senza mezzi termini di “politica scandalosa dell’ASEC che vuol far giocare un gruppo di ragazzini”. Lo stesso fecero alcune radio locali, una delle quali introdusse la finale nel seguente modo: “Sul volto dei bambini che oggi l’ASEC manderà in campo appare la stessa espressione degli agnelli che stanno per essere mandati al macello”. Il boicottaggio indetto dalla frangia più radicale dei supporter del club ivoriano portò al Felix Houphouet Boigny di Abidjan meno di diecimila spettatori; chi rimase a casa si perdette uno dei momenti più emozionanti nella storia delle competizioni per club del calcio africano. Come detto l’ASEC vinse 3-1 con rete di Venance Zézéto e doppietta di Aruna Dindane, futuro attaccante di Anderlecht (verrà anche nominato giocatore dell’anno in Jupiler League) e Lens. Da quel momento la Costa d’Avorio è diventata la nuova speranza dell’Africa Nera. I giovani vennero massicciamente promossi in prima squadra e l’accademia guadagnò un prestigio senza precedenti. Gulliou divenne direttore tecnico del club belga del Beveren e lo trasformò in una vera e propria succursale dei migliori talenti prodotti dall’accademia, molti dei quali presero poi il volo per altre destinazioni, magari anche più nobili, in tutta Europa. L’avventura in terra belga di Guillou è terminata nella primavera di quest’anno (miglior risultato: una finale di coppa di Belgio persa contro il Bruges, più una serie di salvezze non scontate alle vigilia), ma ormai il circolo virtuoso è stato creato. La Costa d’Avorio è terra di talenti, l’accademia dell’ASEC rappresenta una garanzia di qualità, la nazionale è piena di giocatori con esperienza ai più alti livelli e può finalmente pensare in grande. Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti: Kolo Tourè, Emmanuel Ebouè (entrambi dell’Arsenal), Didier Drogba (Chelsea), il già citato Dindane (Lens), Bonaventure Kalou (Paris Saint Germain), niente derby però con il fratello Solomon che non è ancora riuscito ad ottenere la cittadinanza olandese, Yayà Tourè (Olympiacos), Didier Zokora (St. Etienne) e quindi, un gradino più sotto, Marc Andrè Zoro (Messina), Arouna Konè (Psv Eindhoven), Kanga Akalè (Auxerre), Arthur Boka (Strasburgo) e il duo del Nantes Emerse Fae-Gilles Yapi Yapo. Tra questi la stella indiscussa è Drogba, sbarcato in Francia all’età di cinque anni a seguito di suo zio Michel Goba, di professione insegnante, e formatosi calcisticamente nell’Abeville e nel Levallois prima di trasferirsi, nel 2003 via Le Mans, al Guingamp, dove è iniziata la sua ascesa che lo hanno portato nel giro di un paio prima all’Oympique Marsiglia (per vestire la maglia dei quali rifiutò il Lione) e poi, per la cifra importante di 37.5 milioni di euro, al Chelsea. In campo è lui l’allenatore e il leader degli Elefanti, quasi sempre nel bene (miglior marcatore della squadra nelle qualificazioni con 9 reti), qualche volta anche nel male (vedi il rigore sbagliato contro l’Egitto nell’ultima finale di Coppa d’Africa).Il compito di organizzare e disciplinare questa concentrazione potenzialmente esplosiva di talento e muscoli spetta al francese Henri Michel, al suo quarto mondiale dopo Messico ‘86 (allenava la Francia), Stati Uniti ’94 (Camerun) e Francia ’98 (Marocco). Ci è arrivato anche grazie a un pizzico di fortuna, che è arrivata sotto forma di un rigore sbagliato all’ultima giornata in pieno recupero dal camerunese Pierre Wome che è costata la qualificazione al Camerun proprio a favore degli Elefanti, ma a volte, senza esagerare, ci vuole anche quella, e il biglietto per Germania 2006 la Costa d’Avorio se lo è meritato primeggiando in un girone difficile comprendente, oltre ai già citati Leoni Indomabili, Egitto, Libia, Sudan e Benin. In termini di sorteggio però quello dei Mondiali è andato ancora peggio, inserendo il team africano in quello che è stato definito “il girone della morte” e che comprende Argentina, Olanda e Serbia-Montenegro. Un primo impatto subito ad elevatissimo quoziente di difficoltà. Lo stesso che per molti dei giocatori dell’attuale Costa d’Avorio si presentava poco più di sei anni fa in quel di Abidjan nella finale di un importante trofeo. Poi come è finita si è visto. E, si sa, gli elefanti hanno buona memoria…

di Alec Cordolcini
 
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