mercoledì, ottobre 11

Era stato uno dei primi argomenti trattati e discussi su questo blog. Allora si parlava di un libro, "I Fantasmi dell'Enichem" ora paliamo di quello che è successo veramente quel giorno e negli anni successivi in quell'area dove adesso la gente ci va a fare la spesa, orgogliosa di quel centro commerciale, con un bel sorriso sul viso e magari con i propri figli al seguito.
Questa che state per leggere (lo spero perchè ne vale la pena) è la sintesi di una tesi di laurea di un ragazzo di Manfredonia che parla del disastro dell'Enichem del 76... buona lettura!
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"CRONACA DI UN DISASTRO ANNUNCIATO"
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Manfredonia, 26 settembre 1976. È una soleggiata mattina domenicale quando, poco prima delle dieci, si ode un cupo boato, seguito da un forte spostamento d’aria, venire dall’Anic. È scoppiata la colonna di lavaggio dell’anidride carbonica, nell’impianto di produzione dell’ammoniaca. In cielo si alza una nube tossica che, sospinta dal vento, si dirige verso la città. Poco dopo, una fanghiglia giallastra molto leggera inizia a cadere sui campi e sulle case. Nel rione Monticchio, il più esposto alla nube, i bambini giocano con quella che sembra neve fuori stagione. Nello stabilimento l’esplosione ha ferito solo 5 dei 20 operai in servizio (nei giorni feriali erano in 300 a lavorare in quell’area). La cupola della colonna esplosa, dopo un volo di alcune centinaia di metri, precipita su un capannone in cemento armato, distruggendolo. In molti si dirigono verso la fabbrica. Le prime notizie della direzione aziendale sono rassicuranti: "l’unica conseguenza dell’incidente sarà la sospensione della produzione per qualche settimana".Il corrispondente della Gazzetta del Mezzogiorno intervista il vice direttore, l’ing. Guidi. Alla sua domanda: "vi era dell’arsenico nella colonna saltata?" la risposta è: "in minima quantità. D’altra parte è una sostanza che maneggiamo pressoché quotidianamente e che non presenta apprezzabili tassi di pericolosità così come noi la impieghiamo". "E la nube alzatasi dopo lo scoppio non era altro che vapore acqueo e anidride carbonica assolutamente innocua; la sprigiona una qualsiasi cosa che bruci, anche un pezzo di carta o una sigaretta". In città, dopo le prime ore di apprensione, torna la calma. Solamente la mattina seguente un rappresentante del Consiglio di Fabbrica telefona al sindaco di Manfredonia, il sen. Michele Magno, avvisandolo della fuoriuscita di una grande quantità di arsenico, forse 32 tonnellate. Poco dopo l’Ufficiale Sanitario del Comune viene informato della morte di numerosi animali da cortile, nelle campagne limitrofe allo stabilimento, e dell’intossicazione di numerosi capi di bestiame, alcuni dei quali risultano paralizzati. Il Sindaco telefona in fabbrica, dove viene rassicurato: "l’arsenico è caduto tutto nel recinto aziendale e sta già per essere raccolto da squadre di operai, senza alcun pericolo e difficoltà". Il Sindaco non si fida delle rassicurazioni aziendali e chiede l’intervento del Prefetto, del Medico Provinciale e dei tecnici del Laboratorio di Igiene e Profilassi di Foggia. Nel pomeriggio si recano in un orto distante poche centinaia di metri dalla fabbrica e notano che "gli ortaggi sono simili a foglie di tabacco secco e che tutti gli oggetti esistenti sono punteggiati di una sostanza di colore bronzeo". I tecnici raccolgono decine di campioni di fogliame, che vengono subito portati a Foggia per le analisi. Solo nel tardo pomeriggio arrivano a palazzo San Domenico due comunicati aziendali: "le sostanze fuoriuscite sono: 60 t di acqua, 18 t di ossido di potassio e 10 t di arsenico, oltre a selle di materiale ceramico, per un volume complessivo di 110 mc". In serata giungono i primi risultati dai laboratori di Foggia: "nell’orto ispezionato l’arsenico è presente in ragione di 20 grammi per chilogrammo di fogliame raccolto".Cosi nella nottata, assistiti dal medico provinciale, i sindaci di Manfredonia e di Monte Sant’Angelo emettono un’ordinanza di emergenza:- Divieto di consumo e commercializzazione dei prodotti agricoli e silvicoli provenienti da terreni situati nel raggio di 2 km dall’Anic;- Chiusura delle scuole fino a data da destinarsi;- Delimitazione del territorio presumibilmente contaminato in due zone, A e B:La Zona A comprende tutto lo stabilimento, e prevede il divieto di accesso a chiunque non strettamente indispensabile per la sicurezza degli impianti e per le operazioni di disinquinamento. Viene imposto il tempo di permanenza massima nell’area: 2 ore;La Zona B, estesa per 1500 ettari limitrofi all’Anic, prevede il divieto di caccia, di pascolo e di qualsiasi altra attività.Martedì 28 settembre al Comune si tiene una riunione presieduta dall’assessore regionale alla Sanità, prof. Fantasia. Viene chiesto all’azienda di sospendere tutte le attività produttive: richiesta respinta. Viene disposto il divieto di accesso nelle zone A e B e per rendere effettivo tale divieto viene richiesto l’invio di 300 soldati a presidiare la zona: ne arriveranno solo 70 dopo cinque giorni. Il sindaco Magno, con una seconda ordinanza, dispone l’abbattimento di tutti gli animali da cortile presenti nella zona B (circa 1000), e il loro trasporto all’interno dello stabilimento, dove verranno interrati e sigillati in una vasca in cemento armato. Viene ordinato anche il divieto di pesca entro un miglio dalla costa. Intanto per strada circola un volantino del movimento "Lotta continua" di Monte Sant’Angelo, in cui si legge: "gravi sono le responsabilità dell’Anic in questa vicenda. Infatti il reparto dove è scoppiata la colonna di raffreddamento non è stato mai sottoposto a una completa revisione, perché ciò comportava il blocco della produzione del concime per qualche giorno; quindi la logica della massima produttività seguita dai dirigenti dell’azienda solo per un puro caso non ha provocato una strage". Intanto il giorno dopo, mercoledì 29, si decide finalmente di chiudere la mensa aziendale, mentre solo giovedì 30 vengono evacuati gli 85 bambini ospitati presso il centro Padre Pio, distante poche centinaia di metri dalla fabbrica. Gli operai dell’Anic in questi primi 4 giorni non sono ancora stati informati del pericolo. Uno di loro racconterà: "A terra in fabbrica c’era un tappeto di un centimetro di polvere gialla e nessuno ci pensava più di tanto. Ricordo che mangiavamo il panino tra la polvere senza alcuna misura di sicurezza". Quella polvere – arsenico – verrà raccolta a mani nude da circa 300 operai di un’impresa di facchinaggio.Quello stesso giorno il Ministro della Sanità Del Falco atterra a Foggia. Deve recarsi a Pugnochiuso per partecipare ad un convegno di medici condotti: preferirà allungare il tragitto di 20 chilometri pur di non passare per Manfredonia.Intanto l’Istituto di Medicina del Lavoro di Bari, diretto dal prof. Ambrosi, istituisce due centri di consulenza medica, uno presso l’ospedale San Camillo (per la popolazione) e uno presso l’infermeria aziendale (per i dipendenti Anic). Sono 100 gli operai che presentano chiari sintomi di intossicazione da arsenico: vomito, diarrea e collasso cardiocircolatorio. Una ventina vengono ricoverati in ospedale e due nell’infermeria aziendale.Si moltiplicano le accuse all’azienda per i mancati controlli periodici agli impianti. In un’assemblea tenutasi a Monte Sant’Angelo un operaio afferma: "in quasi 5 anni quella colonna non è mai stata controllata a fondo". E la Repubblica il 30 settembre scrive: "che la politica dell’azienda sia sempre stata quella di tirare al risparmio lo ha confermato anche un giovane operaio, che preferisce restare anonimo, per evitare rappresaglie: qualche mese fa si è rotta una valvola; perde ammoniaca, ma anziché ripararla si preferisce diluire con acqua la perdita". L’Anic non smentirà mai nessuna di queste dichiarazioni. Intanto sulle misure da adottare per il disinquinamento dei terreni regna il caos. Alcuni esperti sperano in un acquazzone che lavi via l’arsenico. Altri vedono la pioggia come la peggiore delle sciagure, in quanto farebbe filtrare l’arsenico nel terreno, e da esso nella falda e quindi in mare. Venerdì 1 ottobre in Municipio si riunisce il Comitato Tecnico-Scientifico per il Disinquinamento, composto da esperti delle università di Bari, Roma e Milano; alcuni di loro si sono già occupati dell’emergenza di Seveso. Viene trovata la cura per il veleno: si tratta di irrorare il terreno con latte di calce (per ottenere l’ossidazione dell’arsenico) e solfato di ferro (per insolubilizzarlo). Si decide la decorticazione dei terreni interni allo stabilimento per una profondità di 30 centimetri. Il terreno raccolto verrà messo in 3.500 fusti a tenuta stagna, interrato e cementato nell’isola 14. I tetti, i balconi e le strade di Manfredonia verranno lavati con ipoclorito di sodio. Le operazioni iniziano il giorno seguente. Solo allora l’Ispettorato del Lavoro di Foggia imporrà ai dirigenti Anic l’utilizzo di indumenti protettivi da dare in dotazione agli operai impegnati nelle bonifiche: tute, guanti, maschere e stivali, da sottoporre a decontaminazione alla fine di ogni turno lavorativo, che non potrà superare le 4 ore. Ma ormai è troppo tardi: le analisi effettuate dalla Medicina del Lavoro di Bari rilevano concentrazioni di arsenico nelle urine degli operai comprese tra 2000 e 5000 gamma/litro, contro un limite di tollerabilità fissato in 100 gamma/litro.Davanti all’ospedale la gente si ammassa: tutti, preoccupati per la propria salute, chiedono di essere sottoposti ad analisi. Così si raccolgono centinaia di campioni di urine, "che verranno poi nella maggior parte versate nei gabinetti", come affermerà Magno in un convegno tenutosi l’anno seguente all’università di Bari, "per mancanza di idonee attrezzature".Il 4 ottobre arrivano i genieri dell’esercito a recintare l’area contaminata con filo spinato. I vigili urbani in tuta di gomma sorvegliano le strade e i boy scout consigliano agli automobilisti di andare piano e di chiudere i finestrini. Il 5 ottobre il numero dei ricoverati sale a 43. Sulle analisi degli operai cominciano a sorgere dei sospetti. I risultati arrivano solo dopo molti giorni, e in molti casi risultano incompleti. "La Repubblica" accusa: "Ambrosi è pagato dall’Anic, è suo consulente aziendale e ha cercato fin dal primo momento di minimizzare quanto accaduto a Manfredonia". Intanto il giorno seguente la Procura di Foggia emette sei avvisi di garanzia per altrettanti dirigenti dell’Anic, accusati di strage colposa. Queste notizie fanno salire la tensione in città: si svolgono le prime assemblee popolari in Piazza del Popolo e nel rione Monticchio. L’8 ottobre centinaia di persone ferme davanti all’ospedale, stanche di aspettare risultati che non arrivano, si radunano in un corteo che attraversa le strade cittadine, per giungere in comune, dove chiedono un incontro con il sindaco. Quel giorno Magno, su indicazione del Comitato Tecnico-Scientifico, istituisce una terza zona di sicurezza, la zona C, esterna alla B per un raggio di 3 chilometri. Comprende praticamente tutta la città di Manfredonia, nella quale si impone lo svuotamento e la bonifica delle cisterne dell’acqua piovana, il divieto di raccolta e consumo dei prodotti vegetali. Giovedì 14 e venerdì 15 ottobre si apprendono dalla Gazzetta del Mezzogiorno due notizie gravissime: 1) le analisi delle urine effettuate a Bari sono state sospese perché gli stessi medici sono stati intossicati dall’arsenico; 2) muore in ospedale una diciassettenne, Giulia Martire, in seguito all’ingestione di frutti raccolti nei campi intorno all’Anic. Verrà disposta l’autopsia sul corpo della ragazza, i cui risultati non saranno mai resi noti. La popolazione è scossa. Il Consiglio Comunale approva una mozione per chiedere la riconversione della zona industriale con industrie pulite e manifatturiere e indice una "giornata di lotta" per domenica 17 ottobre. La manifestazione, guidata dal Sindaco, è imponente e vi partecipano dalle 10.000 alle 15.000 persone. Magno, nel discorso conclusivo in piazza Duomo, ribadisce la richiesta di smantellare l’Anic, ma aggiunge: "se la scienza ci darà tutte le garanzie, ci terremo anche questo mostro".Il giorno dopo, a tre settimane soltanto dal disastro, riaprono le scuole e si autorizza la ripresa del mercato settimanale. E martedì 19, dopo solo due settimane di lavoro, si dichiarano completate le operazioni di disinquinamento nelle zone B e C. Lo stesso accadrà per la zona A il 3 novembre. Il 13 e 14 dicembre del ’76 il Comitato Tecnico-Scientifico e i Comuni di Manfredonia e Monte Sant’Angelo dichiarano agibile tutta l’area interessata dall’incidente e ordinano la rimozione delle recinzioni.All’inizio del 1977, per gli operai Anic viene innalzato prima a 300 e poi a 800 gamma/litro il limite di arsenico nelle urine oltre il quale scatta la messa a riposo. Il 4 marzo riprende la produzione di caprolattame, seguita da quella di fertilizzanti nell’autunno seguente, dopo la sostituzione della colonna esplosa.Il 60 % della produzione agricola e il 30 % di quella zootecnica viene distrutta. I braccianti hanno perso dalle 10.000 alle 12.000 giornate lavorative, mentre il pesce del golfo per intere settimane è stato respinto dai mercati. Alcuni paesi europei hanno minacciato di non ritirare più glutammato monosodico prodotto dall’Ajinomoto di Manfredonia, e uno si essi ha preteso che i carichi fossero accompagnati da certificati sanitari. Questi i danni calcolati a un anno dal disastro. Restano incolcolati i danni alle imprese ubicate nelle zone B e C e incalcolabili le perdite degli operatori turistici, per i quali comincerà una fase di declino che in breve porterà alla decimazione delle strutture ricettive. L’arsenico, entrato ormai nella catena alimentare della popolazione, resterà a lungo in circolo nel sangue della gente di Manfredonia.
 
posted by Senza Padroni at 6:57 PM |


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